Mentre i territori facenti capo a Roma e Ravenna gravitano nell’orbita bizantina, nel 568 il popolo germanico dei Longobardi, guidato dal re Alboino, invade l’Italia padana e centrale, per poi spingersi anche più a Sud.

La tendenza nomade di questa etnia viene meno proprio in seguito al suo stanziarsi nella penisola italica, dove prende vita un regno longobardo distinto in trentasei ducati autonomi, con capitale Pavia.

L’arte longobarda si avvale di uno spiccato gusto decorativo, tipico dei linguaggi barbarici.

Gli ornamenti sono caratterizzati da una singolare astrazione geometrica, con originali motivi a intreccio, spesso arricchiti da fantasiosi stilemi vegetali o zoomorfi. Essi assumono un ruolo prevaricante, tanto da far parlare di “horror vacui“, la paura del vuoto, espressione coniata per indicare tale tendenza riempitiva. 

Decori d’ogni sorta trovano ampio riscontro nell’ambito dell’oreficeria, praticata abilmente e caratterizzata da singolari lavorazioni a sbalzo o a incisione e dall’inserimento di pietre e smalti riccamente variopinti. Ne deriva un’originale e cospicua produzione di fibule(*), armi e gioielli, spesso destinati a impreziosire i corredi funebri.

Lo sviluppo dell’oreficeria attesta la scelta di questo popolo di dedicarsi alla realizzazione di manufatti di piccole dimensioni, in linea con l’originaria vocazione nomade.

Tuttavia, una volta stabilitosi nella nostra Penisola, i Longobardi si aprono anche alla produzione di opere di più ampio respiro monumentale, instaurando un dialogo tra le proprie radici barbariche e le suggestioni dell’arte romana.

L’apertura alla cultura classica è segnata da un’ossequiosa ammirazione ed è dimostrata anche dalla conversione dall’arianesimo al cattolicesimo, avvenuta già tra il VI e il VII secolo, durante il regno del re Agilùlfo(591-616).

Risulta riferibile a questo sovrano la lamina in bronzo dorato lavorata a sbalzo, nota come “Frontale di Agilùlfo“.  Se l’accurata resa simmetrica della composizione e  l’aura monumentale rivelano l’ispirazione alla scultura tardo-imperiale, la goffaggine quasi caricaturale e la rigida frontalità dei rilievi richiamano l’originaria cultura barbarica; anche il latino approssimato dell’iscrizione che corre lungo il manufatto mostra i tentativi di assecondare un linguaggio più solenne e regale.

La coesistenza di elementi barbarici e tardo antichi si può riscontrare anche in un’opera dello stesso periodo, ovvero la sontuosa legatura dell’Evangelario di Teodolinda.

Nel 616, con la morte di re Agilulfo, la sua consorte Teodolinda diventa reggente al trono. Salita al potere, contribuisce in maniera decisiva al processo di conversione al cattolicesimo.

Nella copertina del suo Evangelario, una grande croce gemmata campeggia al centro della superficie dorata, dividendola in quattro parti, ognuna ornata dall’antico motivo classicheggiante del cammeo, ma anche da pietruzze colorate e smalti di fattura longobarda, a testimonianza di questo complesso e suggestivo incontro tra le due differenti culture artistiche.

Altre testimonianze longobarde si rinvengono a Cividale del Friuli, uno dei primi siti italiani in cui si stanzia questo popolo, stabilendovi anche una sede vescovile.

Nella cittadina viene edificato il Tempietto di Santa Maria in Valle, risalente all’VIII secolo. Al suo interno possiamo ammirare raffinati decori in stucco, tra cui si distingue il monumentale fregio a bassorilievo che corre lungo la parte superiore della controfacciata, ospitando sei sante, disposte simmetricamente ai lati di un’apertura ad arco.

Le dimensioni, il risalto plastico e l’aderenza delle vesti ai corpi rimanda chiaramente alla tradizione classica, qui rielaborata attraverso contaminazioni bizantine e gusto ornamentale barbarico.

Sempre a Cividale, nel Museo Cristiano, si conserva una delle opere più note di manifattura longobarda: l’Altare del Duca di Ratchis(*), realizzato tra il 737 e il 744.

Spostandoci, invece, nei territori meridionali, un’originale creazione architettonica di questo periodo è fornita dalla beneventana Chiesa di Santa Sofia(*), edificata tra il 758 e il 788.

Mariaelena Castellano

IMPARIAMO I TERMINI

(*) Fibula: fermaglio, fibbia, spilla di sicurezza, di bronzo, di ferro o di metallo prezioso, spesso rinvenuta nei corredi funebri.

Famose risultano le fibule a ornamentazione policroma e zoomorfa introdotte anche nei territori italici e iberici dalle tribù barbariche dei Goti. Molto diffusa, in particolare, la tipologia delle spille a forma di aquila stilizzata, con becco uncinato e ali distese, riempite da una fitta trama decorativa di granàti (minerali metallici di colore rosso acceso) e lapislazzuli (pietre azzurre), ordinati in una disposizione piatta e geometrica.

A questa tipologia ornamentale si ispirano anche gli artisti longobardi, come attesta la loro produzione di capitelli e sculture decorati da originali motivi schematici, simili ai reticolati delle celle di un alveare.

(*) Stucco: Impasto di materiali diversi quali calce, acqua, sabbia, gesso cotto con leganti, polvere finissima di marmo. Viene utilizzato in ambito scultoreo nel rilievo o nel tutto tondo, oppure per riempire o decorare superfici murarie.

DENTRO L'OPERA

(*) L’ALTARE DEL DUCA RATCHIS (tra il 734 e il 744) – Museo Cristiano, Cividale del Friuli

L’altare, consistente in un unico blocco di pietra d’Istria a forma di parallelepipedo, è riferibile al decennio compreso tra il 734, anno in cui Ratchis diventa duca, e il 744, quando viene incoronato re.

In origine i bassorilievi che ne ornano le quattro facce erano colorati, in linea con il vivace gusto policromo della gens longobarda.

La parte anteriore ospita una solenne Majestas Domini; in quella tergale trovano posto due croci, mentre i due fronti laterali presentano le scene dell’Adorazione dei Magi e della Visitazione.

Il disinteresse verso la raffigurazione naturalistica si palesa attraverso l’approssimazione dei corpi, sproporzionati e privi di resa volumetrica, coperti da pesanti vesti, solcate da rigide pieghe; i volti appaiono schematizzati, gli sguardi sono fissi, persi nel vuoto. 

Stelle, crocette e fiori estranei alla narrazione s’inseriscono tra i personaggi per colmare gli spazi vuoti, assecondando la tendenza riempitiva dell’horror vacui.

Nella Majestas Domini la figura centrale del Cristo, di dimensioni maggiori rispetto agli angeli circostanti, è inserita in una mandorla costituita da quattro rami di palma. La mandorla richiama la forma di un’aureola schiacciata e in età medievale simboleggia la gloria divina.

L’impostazione proporzionata dei corpi viene meno, come si evince in particolare dalle mani degli angeli, ingrandite a dismisura per sottolinearne piuttosto l’azione di sostegno.

(*)  CHIESA DI SANTA SOFIA  – 760 circa – Benevento

Nella cosiddetta Langobardia Minor, ovvero nella parte meridionale dei domini longobardi in Italia, fiorisce il ducato di Benevento, caratterizzato da una spiccata autonomia.

Qui il duca Arechi II fonda uno degli edifici più significativi di questo periodo: la Chiesa di Santa Sofia, che già nell’intitolazione richiama il celebre santuario di Costantinopoli, emulato anche nella scelta della pianta centrale.

Nonostante sia di modeste dimensioni, la struttura si distingue per l’elaborata tipologia planimetrica, frutto di un’ardita soluzione perimetrale. All’area presbiteriale, triabsidata, segue infatti un andamento segmentato delle mura, che delinea un’originale sagoma spezzata, quasi stellare.

Al centro, sei colonne con capitelli di spoglio costituiscono i vertici di uno spazio esagonale, sormontato da un tiburio cupolato.

Intorno a questo nucleo centrale si staglia una forma decagonale suggerita da otto pilastri e due colonne di recupero.

Ne deriva, dunque, un ambiente segnato dalla presenza di due deambulatori che frammentano lo spazio, offrendone svariate e inedite prospettive visive, impreziosite anche dal suggestivo intreccio di coperture voltate, ora quadrate, ora triangolari o trapezoidali, che contornano la cupola centrale.

In origine, inoltre, la chiesa doveva essere interamente affrescata, ma oggi non restano che frammentarie tracce della decorazione  delle absidi. Tuttavia, da questi resti si può percepire la grandezza di un ciclo pittorico dotato di una vivace potenza espressiva e di una vigorosa plasticità, riferibili a una più avanzata datazione in età carolingia.