I Romani mostrano un gran talento nell’arte del costruire. Il sapiente utilizzo di significative innovazioni consente loro un ruolo di indiscutibile importanza: all’introduzione del calcestruzzo e all’uso sistematico dell’arco e delle coperture a volte essi affiancano anche la messa a punto di nuovi e potenti macchinari, come la gru. Questa struttura appare in una delle scene a rilievo della Tomba degli Hatèrii e si presenta azionata da una grande ruota di legno, messa in moto da alcuni uomini che la percorrono all’interno.
La continua sperimentazione di nuove tecniche e materiali, unita alla reinterpretazione di saperi più antichi, differenzia l’arte costruttiva dell’Urbe da quella greca. Quest’ ultima, infatti, è fondata essenzialmente su un sistema trilitico, mentre la res edificatoria romana, attraverso l’impiego dell’arco e della volta, elabora un crescendo di variazioni formali fondate sulla sinuosità avvolgente della linea curva.
I Romani riprendono l’uso dell’arco dalla civiltà etrusca comprendendone appieno l’effettiva portata innovativa. Mediante il suo impiego, essi realizzano le volte, ossia coperture di forma curva, in genere destinate a sovrastare spazi molto ampi.
La volta può essere “a botte”, se si ottiene dal prolungamento di un arco a tutto sesto, pervenendo così a una forma semicilindrica, che scarica il peso su due muri perimetrali.
Sezionando una volta a botte lungo due diagonali si ricavano due “fusi” e due “unghie”. Se si uniscono quattro fusi, si ottiene una volta “a padiglione”; se si uniscono quattro unghie, si genera la volta “a crociera”, che quindi risulta formata dall’incrocio perpendicolare di due volte a botte uguali.
Quando la volta ha una forma semisferica, che scarica il peso su una muratura circolare, ma anche poligonale o ellittica, si parla di “cupola”.
Se alla cupola si eliminano quattro porzioni tramite dei piani verticali, si ottiene la “volta a vela”, che può avere un perimetro quadrato o rettangolare.
Queste risultano le distinzioni principali, a cui si aggiungono varianti e nuove tipologie strutturali che andranno definendosi nei secoli successivi.
L’adozione di archi e volte determina una considerevole spinta dei sostegni verticali verso l’esterno; ragion per cui risulta necessario contrastare tale azione con un’adeguata resistenza, fornita grazie al grande spessore delle murature.
I Romani mostrano una grande abilità nell’opus muraria, ovvero la tecnica costruttiva delle mura. Inizialmente rielaborano gli esempi forniti dai monumentali baluardi degli altri popoli dell’antichità; quindi, apportano significative innovazioni, quali la cosiddetta “malta idraulica“(*) e, soprattutto, il calcestruzzo, detto anche opus caementicium (opera cementizia), messo a punto già nel III secolo a.C., con l’intento di fornire un materiale meno costoso della pietra e di più facile messa in posa.
L’introduzione del calcestruzzo rappresenta una vera e propria rivoluzione nell’ambito costruttivo del tempo. Esso si ottiene mescolando dei frammenti di pietra o mattone (caementa) con della malta, ossia calce mista a sabbia.
Contraddistinto da una notevole resistenza e da un’elevata elasticità, l’opus caementicium conosce un rapido sviluppo, favorito anche dai tempi rapidi di esecuzione e dal basso costo dei materiali.
I Romani utilizzano questo materiale nelle più svariate tipologie edilizie inserendolo come riempimento nello spazio compreso tra due paramenti murari(**)
Grazie all’opus caemantium e all’utilizzo diffuso di archi e volte, l’architettura romana vanta un crescendo di originali soluzioni innovative, fondate su una visione dinamica della forma e su una salda impostazione costruttiva degli spazi.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ…
(*)LA MALTA IDRAULICA
Tra le sperimentazioni dell’arte costruttiva dei Romani figura anche la messa a punto della cosiddetta malta idraulica, ricavata dall’aggiunta al tradizionale impasto di malta di una pietra vulcanica macinata, conosciuta come pozzolana per la sua ampia diffusione nei territori dei dintorni di Pozzuoli, presso Napoli.
La pozzolana rende la malta più resistente e le consente di indurirsi anche se viene immersa nell’acqua, in modo da agevolare la costruzione dei piloni destinati a reggere ponti e acquedotti.
(**) LE OPERE MURARIE
I Romani innalzano paramenti murari con blocchi (conci) di mattoni o di pietre, per poi lasciarli a vista oppure, in casi particolari, rivestirli con marmi o stucchi.
Essi assumono nomi diversi a seconda del tipo di materiale impiegato (pietra o mattone) e in base alle diverse disposizioni dei conci.
OPUS INCERTUM: muratura realizzata con piccole pietre di grandezza e forma diverse.
OPUS RETICOLATUM: muratura in cui le pietre (o i mattoni) di forma piramidale sono inserite con la punta nella malta e le basi quadrate a vista a formare un disegno reticolare.
OPUS VITTATUM: muratura costituita da pietre di forma omogenea, di solito piccoli blocchi, disposti in file orizzontali.
OPUS TESTACEUM: molto usato dai Romani, utilizza mattoni di varie misure; detto anche latericium quando s’impiega il mattone crudo (ossia plasmato in argilla e seccato al sole).
OPUS MIXTUM: “opera mista”, in quanto raggruppa diversi tipi di muratura.
OPUS POLIGONALE: muratura formata da grandi blocchi di forma irregolare sovrapposti senza l’impiego della malta.
OPUS QUADRATUM: muratura formata da grandi blocchi squadrati a parallelepipedo, impilati in filari uniformi.
OPUS SPICATUM: muratura in cui le pietre (o i mattoni) di forma rettangolare sono disposti a spina di pesce.
OPUS AFRICANUM: tecnica utilizzata sopratutto in Nord Africa; prevede l’uso di catene verticali portanti, realizzate per mezzo di grandi blocchi di pietra alternati in senso verticale e orizzontale e riempiti fra loro da filari orizzontali di pietre minori, in genere di forma quadrata.