La storia greca degli ultimi decenni del V secolo a.C. è segnata da un clima di grande instabilità.

La secolare rivalità tra Sparta e Atene, già emersa durante le guerre persiane, si riaccende a causa dell’eccessivo primato politico e culturale della città attica e sfocia così nella lunga Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.).

Al conflitto subentrano  anche lotte interne e scontri tra le varie cittadine greche, spesso insoddisfatte dei propri ruoli marginali.

La vittoriosa Sparta, inoltre, non è in grado di raccogliere la cospicua eredità del nemico sconfitto.

Nemmeno Tebe, che agli inizi del IV secolo a.C. primeggia su Sparta e vive un suo breve momento di gloria,  risulta capace di mantenere questa posizione di egemonia.

Seguono, dunque, anni di grande precarietà, a cui si aggiunge l’epidemia di peste che nel 430 a.C. colpisce un’Atene ormai vinta anche da un forte senso di sfiducia nei confronti delle divinità, vanamente interpellate in chiave salvifica.

L’indebolimento del quadro politico e sociale delle poleis greche crea le premesse alla conquista macedone:

nel 338 a.C. Filippo II di Macedonia(*) sconfigge i Greci a Cheronéa, località della Beòzia.

Il sovrano tenta di offrire un motivo di unione alle forze elleniche, dalla cui cultura resta affascinato. Organizza così una spedizione contro i Persiani, ma muore nel 336 a.C., prima di avviare l’impresa, che viene  portata avanti dal giovane figlio Alessandro III, detto “Magno“, il Grande, per le sue eroiche gesta.

Alessandro, dopo aver prevalso sui Persiani, si spinge prima in Egitto, quindi verso i territori estremi dell’Oriente. Tuttavia, la sua morte improvvisa, nel 323 a.C., a soli trentatré anni, pone fine all’avanzata macedone.

Il vasto impero, scomparso il suo sovrano, si sgretola infatti in più regni governati dai generali macedoni.

Proprio nell’anno della morte di Alessandro  si pone l’incipit dell’età ellenistica, caratterizzata dalla diffusione e dalla rielaborazione della raffinata cultura ellenica, un periodo di cui ci occuperemo nelle prossime lezioni, non prima di esaminare la fase che va, invece, dagli ultimi decenni del V secolo a.C. al 323 a.C , indicata come “Secondo Classicismo” e segnata da grandi incertezze.

Gli artisti rispondono a questo particolare momento storico ripiegando nella propria interiorità: i grandi ideali della bellezza assoluta, della perfezione divina e dell’idealizzazione sono ormai distanti e non resta che concentrarsi sulla quotidianità e contemplare la propria vita rivolgendosi a una dimensione più personale. Ne deriva un linguaggio artistico più intimistico, sublimato da un lirismo  sentimentale che trova in Prassìtele, Skòpas e Lisippo tre celebri interpreti.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) IL REGNO DI MACEDONIA

La regione territoriale della Macedonia, ai tempi degli antichi Greci, è una realtà limitrofa della civiltà ellenica, situata al di là dei suoi confini settentrionali. I Greci considerano i Macedoni dei “barbari”, ossia degli stranieri, escludendoli  da quel loro comune senso di appartenenza a una più evoluta realtà socio-politica e culturale.

Infatti, il territorio macedone, per lo più montuoso, ha trovato una sua più ovvia organizzazione nel regime monarchico, anziché in quella vocazione urbana tipica della polis greca.

Così, su un substrato di spiccata identità agricola-pastorale, la dinastia degli Argeadi  pone le basi per un regno di tipo arcaico-feudale.

I Macedoni si inseriscono più volte nelle dinamiche belliche delle poleis greche senza però soggiogarne l’autonomia, finché con la battaglia di Cherònea, nel 338 a.C., Filippo II  assoggetta le forze elleniche inserendole così nell’orbita macedone.

Le motivazioni di questa vittoria non vanno cercate soltanto nel clima di grande incertezza in cui riversano le città-stato greche, ma anche nel potenziamento economico del regno di Macedonia e nella progredita strategia militare messa a punto da Filippo II, che si avvale delle tecniche belliche apprese negli anni giovanili, durante una lunga ma costruttiva prigionia a Tebe.