I Romani(*), sin dalle origini della loro civiltà, hanno un rapporto particolarmente controverso con l’arte.
Innanzitutto, l’iter che porta alla nascita di un’arte definibile propriamente romana risulta lungo e graduale, nonché caratterizzato da una continua ricezione di stilemi provenienti da altre popolazioni, in primis greche ed etrusche. Dalla rielaborazione di questi apporti, nasce a poco alla volta un linguaggio artistico sempre più originale e contraddistinto da connotazioni più specificamente romane.
A differenza dei Greci, che considerano l’Arte come libera attività dello spirito, i Romani hanno una concezione più concreta, votata a scartare quanto non sia finalizzato a uno scopo pratico.
L’indole romana, pragmatica e severa, si è andata definendo nel corso di secoli di guerre, al punto da considerare come ozio superfluo le manifestazioni artistiche.
Questo atteggiamento permane a lungo, anche dopo la conquista della Grecia, quando nel territorio romano giungono opere di grande valore. Infatti, anche di fronte a una progressiva apertura al bello, si avverte il bisogno di giustificare il venir meno di una salda posizione lontana da futili distrazioni(**).
Questo spiega l’anonimato dell’arte romana: a prevalere non è il nome dell’artefice, bensì lo scopo celebrativo della committenza.
Tuttavia, con la sottomissione del territorio greco, Roma conquista anche la sua arte, aprendosi gradualmente a essa. Il linguaggio ellenistico viene svuotato della sua finezza intellettuale e della sua più pura intensità storica, per essere investito da nuovi fasti e divenire così uno strumento di propaganda e di celebrazione delle classi del potere.
Inoltre, accanto alla rielaborazione degli influssi greci, figurano gli apporti della più schietta tradizione italica ed etrusca. Ne deriva un linguaggio autonomo e arricchito da una spiccata verve creativa: i Romani si prodigano in ingegnose tecniche costruttive, dinamiche concezioni architettoniche, intense narrazioni scultoree, elaborate raffigurazioni pittoriche, austere statue onorarie e fastosi archi trionfali, che attestano la potente solennità di un’arte monumentale e prestigiosa.
Nelle prossime lezioni il nostro “scacchiere” si occuperà di questo affascinante percorso artistico, che si accompagna all’inarrestabile ascesa politica di una potente e gloriosa civiltà.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ…
(*) LE FASI STORICHE DELLA CIVILTA’ ROMANA FONDAZIONE E PERIODO MONARCHICO (metà del VIII sec. a.C. – 509 a.C.)
In base a quanto si apprende dalle fonti, la formazione dell’antica civiltà romana si avvia verso la metà dell’VIII secolo a.C., quando un piccolo insediamento di capanne si stabilisce nell’attuale territorio di Roma, per l’esattezza sul colle Palatino.
Questo primo nucleo fondante assoggetta i villaggi vicini e si estende man mano nelle aree circostanti degli altri colli e lungo le rive del fiume Tevere.
Secondo la leggenda, nei suoi primi due secoli di storia, la popolazione romana risulta governata da sette re, i primi quattro di origine latina, gli ultimi tre di provenienza etrusca. Con ogni probabilità, si tratta di una realtà tribale governata da un capo, a cui ben presto subentra l’influsso dell’Etruria.
Proprio nell’ultima fase monarchica, definibile appunto etrusca, Roma conosce una forte ascesa politica e sociale trasformandosi in una grande città.
PERIODO REPUBBLICANO (509 – 27 a.C.)
Nel 509 a.C., con la cacciata di Tarquinio il Superbo, l’ultimo re etrusco, si instaura la Repubblica, un sistema di governo caratterizzato dalla divisione dei poteri tra i magistrati e il Senato. La gestione politica risulta riservata alla classe nobile dei patrizi, mentre i plebei, appartenenti ai ceti più popolari e spesso disagiati, sono esclusi dai più prestigiosi incarichi. Tale situazione crea un diffuso malcontento, a cui si aggiungono anche altre tensioni, spesso scaturite da crisi istituzionali.
Nonostante questa situazione complessa, la Roma repubblicana, tra il IV e il I secolo a.C., conquista tutta la penisola italica, per poi estendere il proprio dominio ad altri vasti territori, chiamati province.
I popoli assoggettati entrano nell’orbita romana attraverso un singolare processo di acculturazione, integrazione e assimilazione, che consente al popolo vincitore una maggiore stabilità. Tuttavia, l’ultimo secolo del periodo repubblicano è caratterizzato dalle lotte civili tra patrizi e plebei, mentre in politica subentrano pretenziosi poteri personali, che portano alla crisi del sistema repubblicano.
PERIODO IMPERIALE (27 a.C. – 476 d.C.)
In questo clima di sanguinose violenze, a imporre la sua opera riformatrice è Ottaviano Augusto, che sancisce il passaggio da repubblica a impero riuscendo a instaurare un lungo periodo di pace in tutto il territorio sottoposto al dominio dell’Urbe. Nasce così l’Impero Romano, destinato a durare con alterne vicende fino al 476 d.C. Dopo la morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.C., l’impero vive un periodo di relativa tranquillità, guidato spesso da validi imperatori, come Traiano (98-117), Marco Aurelio (161-180), Settimio Severo (193-211). Dal III secolo d.C., invece, ha inizio un irreversibile periodo di crisi, che porterà al crollo dell’Impero Romano d’Occidente.
(**) CICERONE CONTRO VERRE: L’ARTE INTESA COME CORRUZIONE
Nel 70 a.C., a Roma, si svolge un processo di grande importanza. L’incriminato è Gaio Licinio Verre, reo di essersi impossessato in modo illecito di un cospicuo numero di ricchezze artistiche quando, tra il 73 e il 71 a.C., era governatore di Sicilia.
Marco Tullio Cicerone è designato come avvocato di accusa e attraverso le sue incisive orazioni (in Verrem, o Verrine) si può ben comprendere il controverso rapporto dei Romani con l’arte.
L’esperto oratore, per avallare le sue accuse, elenca le opere rubate da Verre con i nomi dei rispettivi autori. Cita artisti del calibro di Policleto, Mirone e Prassitele, eppure, nonostante la sua passione per gli oggetti d’arte, di cui è raffinato collezionista, mostra di non conoscere tali nomi e di averli appresi soltanto in occasione del processo.
Le motivazioni di questo atteggiamento sono spiegate dallo stesso Cicerone, quando afferma: “I Greci hanno una straordinaria passione per queste cose, che noi [Romani] disprezziamo“.
L’avvicinamento all’arte va dunque evitato, perché la tempre romana deve essere forgiata da altre priorità, più concrete e votate a fini pratici. Questa visione così ostile e tradizionalista sarà però destinata a fallire: dopo la conquista della Grecia, l’arrivo in città di “bottini di guerra” consistenti in raffinati capolavori artistici plasmerà anche la più severa indole romana, che si aprirà gradualmente all’apprezzamento e alla valorizzazione dell’arte.