Uno dei grandi maestri del Rinascimento maturo è Donato Bramante, artista colto e aggiornato.
Nasce nel 1444 a Formignano, nel ducato di Urbino. Con ogni probabilità la sua formazione avviene nel vivace ambiente culturale della corte di Federico da Montefeltro ed è verosimile una collaborazione con Piero della Francesca, come attesta il suo linguaggio fondato su una spiccata sensibilità per i valori luministici e sull’interesse per una sapiente resa prospettica degli spazi.
Dopo un esordio nell’ambito pittorico(*) Bramante abbraccia l’attività di architetto giungendo a risultati di gran levatura, prima in Lombardia, poi nella Roma dei fasti delle committenze papali.
Risale al 1477 il suo arrivo in terra lombarda e quando nel 1480 approda a Milano riceve l’incarico di progettare la Chiesa di Santa Maria presso San Satiro.
L’edificio ha una pianta a T a tre navate ed è piuttosto contenuto nelle dimensioni, poiché la presenza di una strada impedisce la possibilità di ampliare l’area presbiteriale.
Per ovviare a questo limite la navata centrale, voltata a botte, si conclude in uno spazio illusionistico curato da una straordinaria regia scenografica: attraverso l’utilizzo di legno, stucco e pittura, in soli 90 cm Bramante simula un coro sviluppato in profondità ricavando quel necessario senso di dilatazione spaziale; la finta copertura cassettonata a botte, inoltre, crea un rimando visivo con la reale copertura della navata.
Sempre a Milano, tra il 1492 e il 1497 Bramante è impegnato nella sistemazione dell’area presbiteriale della Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
A commissionare l’opera è Ludovico Sforza detto il Moro, duca di Milano dal 1480, che intende fare di questo spazio un mausoleo di famiglia, per esaltare il ruolo politico del suo casato.
Il duca promuove la riqualificazione di tutto il convento domenicano in cui è inserito l’edificio, affidando a Leonardo da Vinci la decorazione del refettorio; Bramante ha così modo di confrontarsi con l’eclettico artista toscano, in uno prolifico scambio culturale.
Nel progetto per Santa Maria delle Grazie l’area presbiteriale viene concepita come una tribuna autonoma configurata secondo una visione fortemente accentrata, dove lo spazio quadrangolare è movimentato dall’inserimento di due absidi laterali e di una terza abside centrale preceduta dal coro.
Raffinati motivi geometrici rivestono, poi, le superfici interne, animate anche da pittoreschi giochi luministici.
Nel 1499 la Francia conquista il ducato di Milano e Bramante ripara a Roma, dove ha modo di ammirare i grandiosi monumenti della res aedificatoria romana, indagati nelle scelte stilistiche come nella prassi costruttiva.
La monumentalità classicheggiante del passato rivive nel Chiostro di Santa Maria della Pace, impostato in base a una limpida scansione geometrica: utilizzando il modulo del quadrato Bramante stabilisce dimensioni e misure dei vari ambienti.
I due piani del chiostro sono ornati da tutti e quattro gli ordini architettonici antichi. Il dorico e lo ionico trovano posto nel livello inferiore, caratterizzato da solide arcate inquadrate da pilastri dorici su cui si stagliano paraste ioniche rette da piedistalli. Al di sopra di esse scorre una trabeazione che introduce al piano superiore dove pilastri di ordine composito si alternano a esili colonne corinzie.
Nella città eterna Bramante soddisfa l’esigenza di rinnovamento urbano del nuovo pontefice Giulio II della Rovere, desideroso di esaltare il ruolo del papato anche attraverso prestigiose e monumentali architetture.
Risale al 1503 l’incarico di progettare un collegamento tra il nucleo più antico dei Palazzi Vaticani e la Palazzina del Belvedere di Inocenzo VIII.
L’artista si adopera così per la realizzazione dello scenografico Cortile del Belvedere, un vasto spazio aperto disposto su tre diversi livelli. I terrazzamenti sono collegati tra loro da rampe e scaloni e ospitano giardini adorni di sculture e fontane zampillanti d’acqua.
In particolare, il giardino superiore contiene un’area divenuta famosa come il Giardino delle statue per la collocazione di un nutrito complesso di statue antiche, in seguito trasferite in spazi museali. Nei dintorni, inoltre, una grande esedra che incornicia un’antica pigna bronzea e un’originale scala a chiocciola concorrono a far rivivere i fasti delle grandiose residenze imperiali romane.
Oggi il complesso appare alterato rispetto all’originaria progettazione bramantesca a causa degli inserimenti successivi di due costruzioni trasversali che ne interrompono l’unitarietà, senza tuttavia incrinarne la limpida organizzazione prospettica.
Negli stessi anni della sistemazione del Cortile, il re di Spagna Ferdinando II d’Aragona affida al Bramante la realizzazione di un sacello da edificare nel luogo in cui secondo la tradizione medievale sarebbe stato crocifisso San Pietro, nei pressi della Chiesa di San Pietro in Montorio.
L’artista, sempre ispirato dalle vestigia del passato classico, propone una raffinata soluzione a pianta circolare, dominata da un’impostazione sobria ed equilibrata, dove gli elementi tratti dall’antichità rivivono in un’originale rilettura cristiana.
Il corpo principale, innalzato su un crepidoma, è un cilindro circondato da sedici colonne tuscaniche, che trovano eco nelle paraste disposte lungo le pareti della cella.
L’altezza delle colonne funge da elemento modulare replicandosi nella misura del diametro dell’edificio, lungo appena 4 metri.
Il fregio retto dalla peristasi, uno dei primi esempi rinascimentali di fregio dorico, presenta metope decorate con motivi liturgici che rimandano a San Pietro e alla religione cristiana.
Il fregio è sormontato da un’elegante balaustra che introduce al piano superiore, costituito da un alto tamburo coronato da una cupola emisferica e scandito anch’esso da eleganti paraste, che qui incorniciano nicchie rettangolari alternate ad altre con catino a conchiglia.
Nel Tempietto di San Pietro in Montorio l’innovativa rivisitazione dell’antichità classica attesta il talentuoso estro creativo del Bramante, artista colto e originale, che giunge all’apice della fama con l’ambiziosa commissione del rifacimento della Basilica di San Pietro.
Risale al 1506 la decisione di Giulio II di ricostruire l’antica basilica costantiniana: il papa, desideroso di inserire nell’edificio una sua monumentale sepoltura, incarica Bramante di innalzare un nuovo e più ampio tempio della cristianità.
Prende così avvio un cantiere che si protrarrà nei secoli; tuttavia, il progetto bramantesco viene scartato per i continui ripensamenti del pontefice. Ne resta traccia nelle immagini di alcune medaglie e nel cosiddetto Piano di pergamena, da cui si evince l’ennesima riflessione dell’architetto sull’idea di perfezione della pianta centrale, rivisitata secondo uno schema modulare. Il progetto prevede infatti una pianta a croce inserita in un quadrato in cui s’innestano cappelle angolari di grandezza decrescente.
Anche se questa raffinata soluzione resta su carta, i successori di Bramante che si alternano nel prosieguo dei lavori ne colgono la portata innovativa, riconoscendo la geniale indole di un artista capace di far dialogare l’antico con il moderno secondo una visione armonica e razionale.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ…
Bramante pittore
Nell’attività pittorica Bramante mostra una singolare abilità nella resa illusionistica della profondità. L’accurato utilizzo del chiroscuro e della tecnica prospettica rivela la sua piena adesione ai precetti albertiani e pierfrancescani, mentre gli stilemi del Mantegna rivivono nel linearismo incisivo dei contorni.
Tra i dipinti attribuitigli vi è un ciclo di uomini illustri riferibile al 1486-87 e realizzato per la decorazione di una sala di casa Panigarola, a Milano.
Negli affreschi, oggi staccati ed esposti nella Pinacoteca di Brera, sette monumentali figure si stagliano fiere in finte nicchie ornate da elementi architettonici classici, in uno scenario particolarmente suggestivo.
Risale, invece, al 1490, la tavola del Cristo alla colonna, in cui il punto di vista fortemente avvicinato conferisce un effetto di gran monumentalità al corpo del Cristo, levigato da una luce chiara e da un dosato gioco chiaroscurale, che ne mette in risalto la tensione muscolare e la drammaticità emotiva del volto sofferente.
IMPARIAMO I TERMINI
Tribuna: in origine il termine indicava quell’area della basilica romana destinata ai giudici. A partire dall’architettura paleocristiana, invece, per tribuna s’intende lo spazio presbiteriale.
Parasta: pilastro incassato in una parete dalla quale sporge leggermente; svolge una funzione di sostegno e pertanto si differenzia dalla lesena (semicolonna o semipilastro con valore unicamente decorativo).
Sacello: diminutivo di sacrum; per i Romani piccolo spazio recintato contenente un altare; per i cristiani piccolo edificio destinato al culto come una cappella o un tempietto.