L’età ellenistica si colloca tra il 323 a.C. e il 31 a.C., ovvero tra l’anno della morte di Alessandro Magno e la battaglia di Azio, con la quale i Romani si pongono come indiscussi dominatori stabilendo la loro supremazia anche sull’Egitto.
Il vasto impero macedone, dopo la prematura scomparsa di Alessandro, si frantuma in tre grandi monarchie indipendenti (Egitto, Siria e Macedonia), alle quali si aggiunge, nel 263 a.C., il principato di Pergamo, in Asia Minore.
La formazione di queste nuove realtà territoriali segna profondi cambiamenti.
Atene perde il suo primato, poiché ad affermarsi sono le capitali dei regni ellenistici: Alessandria in Egitto, Pella in Macedonia, Pergamo in Asia Minore, Rodi in Grecia.
Questi centri sono propulsori di grandi fermenti culturali e s’impongono anche per la loro significativa produzione artistica, adornandosi di sontuosi palazzi e scenografiche soluzioni architettoniche, monumentali complessi scultorei e grandiosi cicli di affreschi.
Il linguaggio artistico di questi secoli nasce dalla diffusione degli stilemi ellenici nelle regioni conquistate dai Macedoni, nell’ottica di un principio di universalizzazione relativo non solo all’arte, ma a tutti quegli elementi caratterizzanti la koiné greca, dalla politica alla religione, dalla lingua alla letteratura.
Alla fase di ellenizzazione si aggiunge anche lo stimolante confronto con le culture millenarie delle civiltà orientali ed è da questo fecondo dialogo che sorge l’arte ellenistica.
Se in un primo tempo la produzione risulta ancora influenzata dai canoni classici, man mano si adegua alla nuova realtà culturale dell’epoca svincolandosi da quei riferimenti al bello ideale, a favore di una maggiore adesione al realismo e al pathos(*).
Anche la celebrazione greca della collettività cede ora il passo a valori più individualistici, propri delle ambizioni personali dei sovrani.
Sfarzo e ricchezza decorativa sono altri aspetti legati all’esigenza di omaggiare il potere dei regnanti, mentre il più accentuato dinamismo delle opere riflette la volontà di esprimere le forti tensioni di un’epoca segnata da guerre e instabilità sociale.
Se realismo, pathos, sfarzo e dinamismo costituiscono gli aspetti comuni del linguaggio ellenistico, è altresì vero che non risulta possibile distinguere un’arte univoca, data la vasta estensione territoriale e la grande molteplicità di stimoli e apporti culturali rilevati.
Ne deriva una varietà di soluzioni e tendenze plurime, che segna il fascino di un’epoca di fasti e splendori, dove la forza espressiva dei sentimenti universali si apre all’individualismo dell’uomo comune.
Mariaelena Castellano
DENTRO L'OPERA
(*) Realismo e pathos nella “VECCHIA UBRIACA”
Realismo e pathos, già emersi nelle sculture di Prassitéle, Skopas e Lisippo, trovano piena espressione in epoca ellenistica, quando si intensifica la tendenza a cogliere gli aspetti più veritieri anche attraverso la resa dei sentimenti, in un crescendo di originalità e tensione emotiva.
Un noto esempio è offerto dalla scultura della “Vecchia ubriaca“, prodotta nel raffinato ambito artistico della corte di Alessandria d’Egitto, che in questo periodo si apre anche a soggetti tratti dalla vita quotidiana.
La statua, realizzata tra il III e il II secolo a.C. e a noi nota grazie a diverse copie romane in marmo, s’inserisce appieno nel filone della cosiddetta “scultura di genere“, intenta a rappresentare tematiche comuni riferibili al popolo.
La “Vecchia ubriaca” è una donna anziana, descritta con intenso realismo e colta in un momento di debolezza, quando regge la grande fiasca di vino ormai vuota e inarca la testa all’indietro. La bocca sdentata è aperta, come spalancati risultano gli occhi, a indicare lo stato di ebbrezza, mentre le vesti stracciate svelano un corpo ossuto, solcato dalle rughe e dalle pieghe cadenti della pelle.