“Il mondo scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la Terra si ricoprì di un candido manto di chiese…”

Nell’età romanica la ripresa della vita urbana e le esigenze di rinnovo dell’edilizia religiosa sono alla base di uno straordinario impulso delle attività costruttive.

Le città europee si dotano di imponenti palazzi eletti a sede dei poteri civili, mentre il consolidamento del prestigio della Chiesa è affidato all’innalzamento di monumentali cattedrali, monasteri e cappelle rurali. Anche i diffusi interventi di restauro e ampliamento degli edifici di culto preesistenti rientrano in questa volontà di rinnovo, di cui possiedono piena consapevolezza gli storici del tempo: 

“Il mondo scosse la polvere dalle sue vecchie vesti e la Terra si ricoprì di un candido manto di chiese…”

Così scrive nelle sue Historiae il cronista Rodolfo il Glabro, cogliendo il singolare slancio vitale dei cantieri edili del nuovo millennio.

A dirigere i lavori, in genere, è un magister murario, provvisto di tecniche ed esperienze accumulate negli anni, anche a seguito di viaggi. Egli impartisce ordini e coordina l’attività di operai, muratori, carpentieri e tagliapietre; non si avvale ancora di un disegno progettuale, ma fonda la sua perizia sulla pratica diretta, con una chiara idea di partenza.

Lo stile romanico fa le sue prime comparse pressoché in contemporanea in Francia, Italia, Germania e Spagna, per poi diffondersi in altri paesi europei.

Non è semplice parlare di questo linguaggio in modo univoco, poiché le specifiche situazioni politiche, economiche e culturali dei differenti territori determinano soluzioni architettoniche piuttosto individuali, caratterizzate da un’originale autonomia nella scelta di forme, schemi costruttivi e materiali.

Tuttavia, l’adozione costante di determinati elementi definisce anche un’impostazione unitaria, riconoscibile in una maggiore solidità delle strutture e in una più complessa articolazione degli spazi.

In particolare, la volta a crociera s’impone sulle strutture a capriate lignee e sulle più massicce volte a botte.

Tale sistema di copertura, consistente nell’incrocio perpendicolare di due volte a botte, è noto sin dall’epoca romana, ma dall’XI secolo conosce una più sistematica applicazione.

L’aspetto solido e imponente  delle architetture romaniche nasce proprio dall’esigenza di contrastare le spinte scaricate dalle volte a crociera. Si innalzano, così, mura spesse e prive di grandi aperture; poderosi pilastri, spesso compòsiti e possenti contrafforti.

Inoltre, l’utilizzo delle volte scandisce lo spazio architettonico, modulandolo nel ritmico susseguirsi delle campate, ovvero gli ambienti inquadrati da due o più elementi di sostegno. Le campate possono anche sovrapporsi in altezza, generando massicci campanili o robuste torri.

Nelle costruzioni religiose si privilegia la soluzione planimetrica a croce latina distinta in tre o, raramente, cinque navate, spesso provvista di transetto e cripta, come già nella tipologia basilicale di età tardo antica.

La facciata con tetto a capanna, a due spioventi, e la facciata con tetto a salienti, caratterizzata da più spioventi posti ad altezze differenti, costituiscono le scelte più frequenti nella definizione dei prospetti esterni delle chiese.

Spesso, nella facciata romanica, si apre un rosone, ampia finestra circolare posta in asse con la navata centrale e, talvolta, anche con le sezioni laterali. Se in età paleocristiana fanno la loro comparsa primitive forme di oculi incorniciati, a partire dal XII secolo si può propriamente parlare di rosoni intesi come finestroni provvisti di trafori e ornati da intrecci e motivi a raggiera. 

Un altro  elemento che compare di frequente nelle costruzioni di questo periodo è il protiro, un piccolo portico addossato al portale principale, sostenuto anteriormente da due colonne o pilastri, in genere poggianti su sculture di leoni o grifi.

Passando all’interno, gli spazi sono caratterizzati dalla frequente presenza del matroneo e del presbiterio rialzato, quest’ultimo diffusosi per inglobare meglio le sottostanti volte della cripta.

l matronei, come si è visto esaminando la basilica paleocristiana, sono gallerie sopraelevate posizionate sulle navate laterali. In età romanica, questi elementi si configurano come strutture autonome, destinate a rinforzare la stabilità dell’edificio. Inoltre, essi contribuiscono a elevare la navata centrale, su cui affacciano attraverso ampie arcate a tutto sesto oppure tramite aperture a bifora, trifora o quadrifora.

Come già esaminato, l’architettura di età ottoniana mostra precoci segnali di rinnovo, che possono inquadrarsi come esperienze proto romaniche.

In Germania, nel cuore dell’impero ottoniano, la Cattedrale di Spira si pone tra i primi significativi esempi di edilizia romanica. Caratterizzata da dimensioni imponenti, è in pietra arenaria rossa e presenta una pianta a croce commissa, a tre navate e con corto transetto.

Il maestoso edificio è frutto di più interventi nel corso dei secoli. In particolare, a pochi decenni dalla prima fondazione risalente agli anni 1027-1030, l’imperatore Enrico IV promuove un radicale rifacimento noto come Duomo di Spira II, riferibile a un periodo compreso tra il 1082 e il 1106. Con questa riedificazione s’intende fornire un maggiore impatto monumentale, in una direzione spiccatamente romanica, come mostra l’introduzione dei massicci pilastri a fascio e delle coperture a volta.

In Francia, nella regione di Borgogna, s’impone il modello monastico dell’abbazia  benedettina di Cluny. Intorno al X secolo, l’Ordine fondato da San Benedetto da Norcia conosce un periodo di crisi, che porta a una profonda riforma spirituale, portata avanti proprio da Cluny e incentrata sulla valorizzazione della preghiera e delle celebrazioni liturgiche. Ne consegue un ripensamento degli spazi architettonici, man mano più articolati e monumentali.

Il modello cluniacense s’impone nelle scelte spirituali, come in quelle costruttive, conoscendo una gran divulgazione in tutta Europa.

La chiesa abbaziale viene ricostruita tre volte e gli studiosi chiamano i tre interventi Cluny I, Cluny II e Cluny III. Il terzo edificio si distingueva per le imponenti dimensioni dell’articolata pianta a cinque navate, con doppio transetto e coro con deambulatorio e cappelle radiali. La straordinaria mole raggiunta dall’abbazia era evidenziata anche dalla presenza di quattro massicci campanili e due torri di facciata.

Oggi di questa grandiosa costruzione non restano che pochissime tracce, a causa di una violenta distruzione subita durante la Rivoluzione francese.

Il modello cluniacense trova eco in uno dei monumenti più simbolici del romanico spagnolo: la Cattedrale di Santiago di Compostela, tra le mete più frequentate del pellegrinaggio cristiano.

L’esuberante esterno, frutto di successivi rimaneggiamenti di età gotica e barocca, sovrasta la primitiva struttura romanica, che traspare tuttavia nella razionale linearità delle due torri.

L’impianto originario è inoltre leggibile nella pianta a croce latina scandita in tre navate, con transetto anch’esso tripartito e animato dalla presenza di quattro absidi.  Il presbiterio è fornito di un deambulatorio semicircolare con cappelle radiali, dove far scorrere il flusso di fedeli, diretti alla sottostante cripta, in cui si conservano le reliquie sacre di San Giacomo.

Spostandoci in Italia, tra i principali edifici sacri del tempo, la Basilica di Sant’Ambrogio a Milano (XI-XII secolo) rappresenta una fondamentale testimonianza del romanico lombardo. La chiesa presenta un’ampia facciata con tetto a capanna, scandita da pilastri e grandi arcate a tutto sesto. Questi elementi, che conferiscono un’impostazione armonica e unitaria d’ispirazione classica, si ripetono sia nello spazio interno, sia nel vasto quadriportico che precede la facciata, in origine destinato ad accogliere fiere e assemblee cittadine. 

      Basilica di Sant’Ambrogio – Milano

L’esterno si distingue, inoltre, per gli studiati giochi di luci e ombre e per il ricercato contrasto cromatico tra i mattoni tipici del Romanico lombardo e le pietre utilizzate per i decori scultorei e gli elementi di sostegno.

L’interno, a pianta longitudinale e privo di transetto, presenta tre navate terminanti in altrettante absidi semicilindriche. La navata centrale, più ampia e sormontata da volte a crociera con costoloni, è distinta in quattro campate, mentre le sezioni laterali sono definite da campate di ampiezza pari alla metà di quelle della navata centrale.

La partizione di questo inedito spazio modulare è affidata a massicci pilastri polistili alternati a pilastri deboli e culmina nell’area ottagonale del presbiterio, voltata a cupola. 

Sempre in Italia Settentrionale, nell’XI secolo, Venezia si dota della sontuosa Basilica di San Marco, costruita in più fasi fino al XV secolo. Questo lungo processo di edificazione spiega la singolare compresenza di più tendenze artistiche, che caratterizzano il monumento rendendolo un unicum nel panorama architettonico medievale.

Pertanto, al substrato romanico della Basilica, ben evidente nelle arcate a tutto sesto e nell’ampia cripta, si aggiungono elementi gotici, come i pinnacoli del coronamento, nonché scelte decorative ispirate agli eleganti stilemi orientali; in particolare, l’adozione della pianta a croce greca sormontata da cinque maestose cupole rientra nella volontà di far rivivere la fastosa monumentalità degli edifici costantinopolitani. 

Questo orientamento testimonia la vocazione cosmopolita della città lagunare, da sempre aperta a intensi rapporti commerciali e culturali con l’Oriente.

          Basilica di San Marco – Venezia

Spostandoci in Emilia Romagna, riveste grande importanza la Cattedrale di San Geminiano a Modena, per la quale rimando alla scheda di approfondimento.

Il Battistero di San Giovanni e la Basilica di San Miniato al Monte rappresentano, invece, due significativi esempi di romanico fiorentino. Entrambi gli edifici risultano definiti da un rigore geometrico giocato sulla bicromia del rivestimento: il candore bianco dei marmi di Carrara e di Lunigiana emerge dal contrasto con il verde intenso e scuro del serpentino di Prato.

   Battistero di San Giovanni – Firenze

Questa raffinata scelta decorativa sarà ripresa anche in altri cantieri fiorentini, divenendo così una soluzione architettonica identificativa della città.

Il romanico fiorentino si distingue per il desiderio di recuperare la monumentalità e l’equilibrio compositivo del classicismo: le facciate sono scandite da una razionale intelaiatura configurata da ampie arcate a tutto sesto poggianti su semicolonne e da edicole e finestre spesso sormontate da timpani.  

     Basilica di San Miniato al Monte – Firenze

Le peculiarità di questo linguaggio non ha una vasta eco al di fuori di Firenze, in analogia con la debole politica di estensione della città a quel tempo. Tuttavia, questi stilemi eserciteranno vaste ripercussioni nei successivi sviluppi delle architetture fiorentine rinascimentali. 

Restando in Toscana, emerge lo scenografico complesso di Piazza dei Miracoli a Pisa, con la Cattedrale di Santa Maria Assunta, il Battistero e il Camposanto.

 L’area prescelta per l’edificazione è piuttosto dislocata dal centro urbano, probabilmente non fornito di una così vasta superficie libera. 

Pisa, repubblica marinara in piena ascesa politica ed economica, proclama la propria grandezza attraverso questo importante centro religioso, in cui sono simboleggiate le tre fasi principali del cammino di ogni uomo: il Battistero ricorda la nascita, la Cattedrale simboleggia la vita e il Camposanto allude, invece, alla morte.

Il Duomo presenta una facciata a salienti; è a cinque navate, con abside e ampio transetto a tre navate.

La celebre Torre pendente, nonostante si presenti come costruzione a sé stante, costituisce il campanile del Duomo. Il cedimento del terreno argilloso è la causa dell’inclinazione della Torre e, in misura minore, anche degli altri edifici del complesso. La problematica è emersa sin dalle prime fasi costruttive, non impedendo tuttavia l’innalzamento dell’opera, che oggi vanta circa 58 metri d’altezza e la sua pendenza ne costituisce, anzi, una singolare peculiarità. Il mancato crollo nel corso dei secoli si spiega sia grazie ai numerosi interventi di restauro e consolidamento, sia tenendo conto della legge fisica, secondo cui se la verticale che attraversa il baricentro di un corpo cade all’interno della sua base d’appoggio, il corpo resta in piedi.

I monumenti  pisani si caratterizzano per un armonico senso delle proporzioni, modulato nella ritmica scansione delle arcate cieche e nel raffinato motivo a loggiato, che percorre le superfici, donando loro un equilibrato gioco di pieni e vuoti.   

                      Pisa, Piazza dei Miracoli

Il romanico pisano sviluppatosi nel cantiere di Piazza dei Miracoli si diffonde celermente nei territori limitrofi e nelle aree controllate dalla Repubblica. I modi orientali, conosciuti e ammirati attraverso le spedizioni marittime dei Pisani, confluiscono in questo linguaggio, per poi essere assorbiti e rielaborati con originalità secondo il gusto occidentale e la spiritualità paleocristiana. Tra gli elementi tipici del romanico pisano si ricordano la bicromia dei rivestimenti marmorei e l’utilizzo di elementi di forma romboidale incassati, derivati da motivi islamici nordafricani. 

Il panorama di alcune delle principali esperienze architettoniche del Romanico italiano si può completare con due noti esempi dell’area meridionale: la Basilica di San Nicola di Bari e il Duomo di Monreale.

              Basilica di San Nicola, Bari

Percorsa da pellegrini e mercanti diretti verso l’Oriente, la terra pugliese si volge a molteplici stimoli artistici, sviluppando un singolare linguaggio architettonico. 

Edificata tra l’XI e il XII secolo, nel cuore della città vecchia di Bari, la Basilica di San Nicola rappresenta una felice sintesi stilistica tra influssi del romanico lombardo, tradizione tardo antica e linguaggio bizantino.

La facciata a salienti si presenta come un complesso fortificato, percorso verticalmente da due poderosi contrafforti retti da colonne. L’aspetto massiccio è alleggerito da una successione di arcate a tutto sesto sormontate da loggette con sei archetti ognuna.

La pianta, a tre navate, presenta un ampio transetto collocato nell’area presbiteriale, fino a includerne le tre absidi. All’interno, eleganti matronei composti da trifore percorrono dall’alto lo spazio interno, caratterizzato da robuste arcate e poderosi pilastri. 

In Sicilia, i sovrani normanni promuovono un linguaggio aperto alla molteplicità di influssi orientali presenti nell’isola. 

Su un’altura a pochi chilometri da Palermo, sul finire dell’XI secolo, Guglielmo II fa edificare il Duomo di Monreale, destinato ad accogliere le spoglie dei re normanni. 

Il maestoso edificio a pianta longitudinale presenta dimensioni imponenti e si distingue per gli eleganti motivi arabeggianti dell’esterno.  

La facciata principale è racchiusa tra due solide torri ed è coronata da un intricato susseguirsi di archetti intrecciati, decorati da maestranze arabe. La visione di questi ornamenti, oggi, non è pienamente fruibile, a causa del  monumentale porticato aggiunto nel XVIII secolo. 

Ben visibili risultano, invece, gli scenografici rivestimenti esterni delle absidi, dove torna il motivo ad archetti intrecciati, qui ravvivato dai pittoreschi effetti chiaroscurali e dalle studiate variazioni cromatiche ottenute tramite l’utilizzo di materiali diversi.

      Duomo di Monreale (esterno, lato absidale)

All’interno, invece, a prevalere è la sontuosa aura bizantina: raffinati mosaici ricoprono le pareti, smaterializzandone la vigorosa possenza muraria con la loro luce riflessa. 

Infine, sul lato destro del Duomo si apre un chiostro quadrato, noto come Chiostro del Paradiso,  prestigioso esempio dei raffinati stilemi del romanico siculo.

In questo spazio, percorso da eleganti colonnine binate in marmo su cui poggiano archi ogivali a doppia ghiera, i preziosismi islamici dialogano con la cultura artistica romanica, creando uno scenario spettacolare, celebrato anche dall’artista Jean Pierre Houel, di ritorno dal suo Grand Tour:

« Le colonne sono tutte scanalate, alcune sono tortili, altre diritte. Sono tutte incrostate di mosaici colorati e dorati, di granito, di porfido, di ogni tipo di marmo che forma piccoli disegni di incantevole esattezza. I capitelli sono una mescolanza di fiori, frutta, di figure di animali di ogni specie… Questo chiostro è il monumento più completo, più ricercato che sia possibile costruire nel suo genere. È in questo luogo sublime che i più reclusi riammirano al mondo e alle sue pompe »
(Jean Pierre Houel, Viaggio pittoresco nelle isole di Sicilia, di Lipari e di Malta -1787).

Mariaelena Castellano

DENTRO L'OPERA

(*) LA CATTEDRALE DI SAN GEMINIANO A MODENA (1099-1184)

La Cattedrale di San Geminiano a Modena si pone tra gli edifici più esemplificativi del romanico italiano.

Innalzata nel 1099, la monumentale costruzione dedicata al patrono della città, viene consacrata quasi un secolo dopo, nel 1184, ma la chiusura definitiva del cantiere avviene soltanto nel XV secolo. Nonostante questo lungo protrarsi dei lavori e l’aggiunta successiva di elementi quali il rosone, i portali laterali e le torrette, l’opera conserva lo spirito romanico originario, vicino ai modi lombardi, come mostra la pianta basilicale priva di transetto e distinta in tre navate concluse da absidi semicilindriche. Anche la cripta è tripartita e si estende sotto l’ampio presbiterio rialzato e recintato da un pontile, ossia un elemento divisorio sopraelevato, in questo caso sostenuto da sei esili colonne architravate.

La navata centrale è distinta in cinque grandi campate rettangolari ricavate da otto pilastri a fascio. Essi reggono volte a crociera a sesto acuto realizzate nel Trecento, in sostituzione del precedente soffitto a capriate lignee. I pilastri sono intervallati da colonne, su cui si innalzano arcate a tutto sesto in laterizio.

Al di sopra delle navate laterali scorre un matroneo non praticabile, ovvero privo di suolo calpestabile e dunque con funzione prettamente decorativa. Il suo affaccio è scandito da un susseguirsi ritmico di trifore incorniciate da un arco cieco a tutto sesto. Questo motivo ornamentale si replica lungo il perimetro esterno dell’edificio, determinando una forte corrispondenza con l’interno. Anche la presenza dei due contrafforti ai lati dell’ingresso rimanda allo spazio interno, in quanto suggerisce la tripartizione delle navate. La facciata si caratterizza, inoltre, per la presenza di un portale strombato racchiuso in un protiro a due piani.

Il felice equilibrio tra elementi strutturali e scelte decorative è prova di un’attenta impostazione progettuale, riferibile alla stimata personalità dell’architetto Lanfranco. Attivo in area lombardo-padana, tra XI e XII secolo, l’artista si distingue per l’operato nel cantiere della Cattedrale di Modena, di cui studia con cura ogni particolare, come si evince dall’osservazione della facciata a salienti, perfettamente inseribile nella forma geometrica di un quadrato.

Lanfranco interpreta con grande acume intellettivo l’arte degli antichi Romani, per poi adattarla alle esigenze del suo tempo. Inoltre, si avvale degli interventi del maestro Wiligelmo, responsabile delle decorazioni scultoree dell’edificio, con il quale instaura una proficua collaborazione, come avremo modo di approfondire nella prossima lezione.

 

PER SAPERNE DI PIÙ…

PIAZZA DEI MIRACOLI deve il suo nome a Gabriele d’Annunzio, che nel 1910, nel romanzo “Forse che sì forse che no” descrive dall’alto  le meraviglie artistiche del complesso monumentale di Pisa, attraverso il volo dell’Àrdea, lo storico aereo del protagonista.

“L’Àrdea roteò nel cielo di Cristo, sul prato dei miracoli. Sorvolò le cinque navi concluse del duomo, l’implicito serto del campanile inclinato sotto il fremito dei suoi bronzi, la tiara del battistero così lieve che pareva fosse per involarsi gonfia di echeggiamenti. Come più si estingueva il fulgore paradisiaco del vespero convertendosi in cerulea cenere, più s’impregnavano di luce mistica i marmi; e la serbavano nella lor pia sostanza bionda così lungamente contro l’ombra, che pareva vi trasparissero per vene alabastrine dall’interno le luminarie degli altari.”

IMPARIAMO I TERMINI

Bifora, Trifora, Quadrifora: finestra divisa verticalmente in due, tre o quattro luci da esili colonnine su cui si impostano archetti, spesso sormontati da un ulteriore arco, che contorna l’intera apertura.

Pilastro: Elemento architettonico verticale che, a differenza della colonna avente sempre forma circolare, può essere a base cilindrica, quadrata o cruciforme; è usato come sostegno per archi, architravi, volte. Il pilastro si definisce “a fascio” quando presenta sezione complessa, spesso polilobata, apparendo composto da fasci di colonne di diverse dimensioni. Risulta, invece, composito, quando ha base quadrata sui cui lati si addossano quattro semicolonne.

Contrafforte: Struttura muraria di rinforzo, che sporge rispetto all’allineamento generale. Risulta solitamente posizionato all’esterno, in corrispondenza di pilastri interni, ossia nei punti dove si concentrano maggiormente le spinte orizzontali o oblique.

Duomo: il termine deriva dal latino domus, casa, alludendo all’edificio sacro inteso come casa del Signore. Anche la parola Basilica ha quest’accezione, stavolta derivante dal greco basileus, re, e oikos, casa, quindi letteralmente “la casa del re”. Tuttavia, tra i due termini si pone una differenza: si fregiano del titolo di basilica le chiese importanti e con un certo valore artistico, mentre il Duomo costituisce l’edificio sacro più importante di una città, all’interno del quale alloggia l’arciprete. Se, poi, la città in questione è sede vescovile, allora il Duomo prende anche il nome di Cattedrale

Chiostro: cortile porticato all’interno di un edificio monastico.