Ci sono avvenimenti che spesso finiscono nell’ombra: dimenticanze storiche che, talvolta, dopo anni d’oblio, trovano il modo di far parlare di sé. I treni della felicità, per esempio. Quelli che il PCI e l’UDI (Unione delle Donne Italiane) organizzarono nel secondo dopoguerra per salvare dalla povertà migliaia di bambini del Mezzogiorno. Una singolare vicenda, questa, tornata alla memoria collettiva grazie al romanzo “Il treno dei bambini” di Viola Ardone (G.Einaudi Editore).
Siamo nel sud Italia, negli anni Quaranta del secolo scorso, quando la miseria divampa e in tanti vivono di stenti e privazioni; quando crescere un figlio e assicurargli il benessere necessario non è sempre possibile. Così, pur di provare a cambiare uno scontato destino di povertà, si tenta una strada disperata: quella del distacco. I piccoli “prescelti” salgono su treni diretti verso il Nord del paese, attesi da famiglie e istituzioni, pronte ad accoglierli per un certo periodo, per dar loro cibo, istruzione e benessere. Interi vagoni si riempiono di giovanissimi viaggiatori. Hanno tutti gli occhi smarriti, non sanno cosa li attenderà quando scenderanno, ma sanno cosa si lasciano alle spalle: madri scure in viso, occhi serrati, pugni stretti e, nel cuore, ben nascosta e tenuta a bada, la grande disperazione del distacco. Madri che temono di aver sbagliato tutto, ma poi si convincono di aver scelto bene, perché la felicità dei propri figli va rincorsa, a costo di doversene separare per chissà quanto, senza poter prevedere le reazioni che un evento simile implicherà in chi parte, ma anche in chi resta.
Nel romanzo di Viola Ardone, Amerigo Speranza è uno di questi piccoli passeggeri: personaggio d’invenzione nato dall’abile penna dell’autrice, è delineato con tale maestria narrativa, da sembrare reale. Con il suo candore infantile e, al tempo stesso, con la sua arguta scaltrezza, tutta napoletana, Amerigo ci accompagna in questo singolare viaggio all’indietro nel tempo, in un passato in effetti non così lontano negli anni, eppure tanto differente rispetto alla vita di oggi.
“Il treno dei bambini”, riporta alla luce questo pezzo di storia italiana e lo fa attraverso l’incantato io narrante di Amerigo, che ci svela tutti i suoi timori e le inquietudini, con l’innocenza del suo essere bambino, eppure così ben accorto e capace di guardarsi intorno con fare spigliato.
«Vedo la luna che corre sopra ai campi, come se giocasse ad acchiapparella con il treno», pensa, mentre viaggia nella sua locomotiva della felicità e noi, con lui, immaginiamo il paesaggio notturno sovrastato da una grande luna abbagliante, che sembra rincorrere la velocità del treno.
L’autrice riesce a esprimere lo stato d’animo del bambino in modo tanto credibile, da farci quasi provare le sue emozioni: la curiosità, la nostalgia, l’entusiasmo, la malinconia…
«Mi sento la tristezza nella pancia», afferma più volte Amerigo, e ogni volta che la si legge, questa espressione suscita uno scuotimento anche nella pancia del lettore.
Il piccolo protagonista è combattuto tra le nuove possibilità che gli offre il soggiorno presso una famiglia benestante di Modena e l’attaccamento alla sue radici. Da un lato, una nuova promettente esperienza di vita, una famiglia che crede in lui, nelle sue possibilità, nel suo talento con il violino; dall’altro, i suoi trascorsi nei rioni di Napoli, tra i vicoli più veraci della città, con la vita di strada e le pittoresche vicine di casa, la “Pachiochia” e la “Zandragliona”. E, poi, sua madre, Antonietta, una donna umile, senza grandi pretese, che ha imparato ad affrontare la difficile quotidianità dei bassi napoletani.
Amerigo non potrà fare a meno di confrontare tra loro due realtà così diverse, mentre Antonietta non potrà evitare di sentirsi inferiore rispetto all’altra possibilità di vita prospettata a suo figlio. Il suo apparire schiva, quasi anaffettiva, cela in realtà un amore immenso, quello che solo una madre può riservare ai propri figli.
Un romanzo, questo, che entra nel cuore. Se poi si ha modo di conoscere l’autrice e di conversare con lei dell’iter di stesura di questa storia e di tanti altri spunti riflessivi, allora il coinvolgimento è ancora più forte.
Ma andiamo con ordine. Qualche mese fa, ai nostri studenti è stata proposta la lettura de “Il treno dei bambini”, organizzando anche un incontro con l’autrice. Così, ieri mattina, nell’aula magna del Liceo “F.Grandi” di Sorrento, diretto dalla prof.ssa P. Cappiello, abbiamo preso parte a questo stimolante momento di confronto.
Durante il dibattito sono emersi tanti aspetti della storia di Amerigo e della Napoli di un tempo. Viola Ardone ha inoltre raccontato la sua esperienza di scrittrice e ha incitato i nostri studenti a perseguire i propri progetti di vita con ostinazione, senza arrendersi di fronte ai primi ostacoli.
Il suo esempio funge da guida: lei ha da subito creduto nel suo scritto e non si è fermata dinanzi ai primi rifiuti editoriali, piuttosto si è messa in discussione per migliorarsi ancora, fino al raggiungimento del traguardo: oggi “Il treno dei bambini” è un romanzo di successo che, come già evidenziato in apertura, ha il gran merito di riportare all’attenzione una vicenda dimenticata. Una vicenda che, adesso più che mai, va ripercorsa, come si è avuto modo di ribadire anche nell’incontro di ieri. I treni dei bambini rappresentano un momento di grande solidarietà, messa in moto nonostante le enormi difficoltà del periodo storico e, pertanto, ciò fa ben sperare che oggi si possa seguire questo esempio, recuperando appunto il valore fondamentale della solidarietà.
Un valore di cui abbiamo avuto modo di discutere anche con chi su uno di quei treni ci è salito per davvero. Qualche settimana fa, infatti, una singolare coincidenza -se così vogliamo definirla- ci ha fatto imbattere nel signor Giovanni Renzi.
Classe 1933, il signor Renzi si è casualmente imbattuto nel discorso di una mia collega, per l’esattezza una delle organizzatrici dell’evento, la prof.ssa Fata Spinelli. Tra una chiacchiera e l’altra, lei si era ritrovata a parlare con delle amiche del romanzo e dell’imminente incontro con l’autrice.
“Io ero su uno di quei treni”, ha quindi esordito lui.
Una storia, la sua, che non si può non ripercorrere e condividere. Abbiamo così realizzato un servizio video che tocca le corde emotive e che ripropongo qui, perché quando si vivono esperienze così suggestive, si avverte anche il bisogno di renderne partecipi gli altri.
Un altro modo, questo, per riportare alla luce i treni dei bambini e la loro ricerca della “felicità”.
Mariaelena Castellano
Montaggio del video a cura degli studenti dell’indirizzo Audiovisivo e Multimediale del Liceo “Francesco Grandi” di Sorrento.