Stavo per condividere un lungo post sul mio profilo personale di Facebook.
Nonostante nei social si tenda alla sintesi, chi mi conosce, sa bene che ogni tanto scrivo sproloqui di idee, pensieri e disavventure.
E` un modo per rendere partecipi della mia quotidianità gli amici virtuali.
Questa volta, però, preferisco coinvolgere un’utenza più ampia. Così, oggi vi parlerò della scuola italiana che, se paragonata a un albero, sarebbe di certo un salice piangente: con le sue fronde chine verso il basso, a mugugnare per tutto quel che non va.
Ma andiamo con ordine.
Ieri è stato il mio primo… “primo giorno di scuola” nelle vesti di insegnante.
Già, anche sa da diversi anni insegno Storia dell’Arte nelle scuole superiori, non avevo mai preso parte all’incipit dell’anno scolastico.
Non avevo mai presenziato all’apertura settembina delle attività didattiche, né tanto meno al fatidico “primo giorno di scuola”.
Quello in cui si rompe il ghiaccio per fare la conoscenza degli alunni; quello in cui si respira un’emozione nuova, percepibile negli sguardi curiosi e un po’ timidi di chi inizia un nuovo percorso di vita; di chi si guarda intorno tra le aule e i corridoi di quello che diventerà uno scenario abituale per i prossimi cinque anni.
Finora nella mia gloriosa carriera, peregrinando da un istituto all’altro, a volte giocando in casa, altre sconfinando nell’hinterland napoletano o nelle piccole isole, non avevo mai respirato le emozioni di questa giornata.
Eh sì, il salice piange.
Piange perché il sistema organizzativo della scuola italiana consente che in questi giorni un gran numero di colleghi cosiddetti “precari” non possano vivere questi momenti.
Se ne stanno a casa, magari a consultare internet per verificare quando saranno convocati e in chissà quale istituto.
Ricordo di anni in cui ho preso servizio a ottobre inoltrato e, per giunta, in scuole dove vigeva il trimestre.
Una corsa contro il tempo per portare avanti programmi e verifiche. Poi, c’era quella fastidiosa sensazione di sentirsi sempre di passaggio, con la conseguenza di non farsi mai coinvolgere troppo in progetti e attività, così come nei rapporti umani.
Ecco perchè evitavo di affezionarmi troppo alle classi.
Ero di passaggio.
Non è stato facile vivere la “missione” dell’insegnamento con queste modalità.
Il salice piange.
Piange perché in questi anni a volte mi è capitato di fare una gaffe con alcuni colleghi.
Festeggiavano il ruolo in sala docenti con bibite e pasticcini e io mi congratulavo con loro per il pensionamento… Con tanto di suggerimenti su come impiegare il tempo libero.
Così mi ero rassegnata anche io a chissà quanti altri anni di precariato.
Mi ero predisposta al peggio, finché anche per me è arrivato niente poco di meno che il fatidico ruolo.
Non solo.
La scuola assegnatami è nel territorio ed è quella più consona alla mia disciplina.
Da quest’anno, infatti, insegno nel Liceo Artistico e Musicale “Grandi” di Sorrento, un istituto dove si può respirare una vitale aura di creatività e dove le energie delle arti e della musica fluiscono in un’interazione continua, come suggerisce anche l’immagine scelta per il logo del liceo.
Due mani aperte e protese verso l’alto, che lasciano sconfinare un’esplosione di colori e note musicali.
Il salice piange, perché la scuola italiana andrebbe riorganizzata e migliorata per una molteplicità di aspetti; ma, consentitemi, dopo diversi anni in balia di incertezze, oggi io sorrido.
Sorrido tra le quattro mura di quello che era l’istituto in cui mai avrei sperato di poter approdare come titolare e di cui mi sento finalmente componente al 100%, pronta a prenderne parte attiva con idee e progetti.
Sorrido dietro la cattedra, quando ieri ho fatto la conoscenza di una mia classe, la IC, e ho inaugurato con loro il mio incipit in questo istituto, con la soddisfazione di poterli vivere per tutto il quinquennio.
Di accompagnarli e guidarli nel corso di un tempo finalmente lungo e dunque evolutivo, in un cammino di crescita e maturazione, che non è solo legato ai saperi, ma a tanto altro.
E’ un percorso fondamentale per forgiare persone che un domani potranno rapportarsi al meglio con la società, per contribuire a migliorarla.
A chi di competenza, basterebbe pensare a queste motivazioni per comprendere l’impellente necessità di ricostruire la scuola italiana su nuove e più efficienti basi operative.
Basi che diano maggiore stabilità ai docenti e, di riflesso, agli alunni. E che non si arenino nel gravarci piuttosto di continui adempimenti burocratici, dispersivi di preziose energie da poter investire, invece, nell’insegnamento.
Per far sì che parlando della scuola italiana, si possa evitare il richiamo a un salice piangente, per usare invece metafore di alberi con rami ben protesi verso l’alto.
Concludo con l’augurio per tutti di un sereno anno scolastico.
Per noi docenti e per tutto il personale impiegato negli istituti.
Per i genitori che devono supportare e vigilare l’iter dei propri figli e soprattutto per loro, che quando sono dietro i banchi, diventano un po’ anche figli nostri.
Mariaelena Castellano