Del caso “Unabomber“, risalente all’estate 2010, si è tanto discusso qui in Penisola Sorrentina, con un gran numero di articoli e servizi video. Quando il comandante De Marini mi ha proposto di inaugurare la trilogia di Casa d’Arma (per informazioni sulla serie cliccare QUI) proprio con questa vicenda, così nota ai più, ho avuto un attimo di esitazione. Mi sembrava ci fosse ben poco da narrare, non intravedevo una trama accattivante. Man mano che però mi addentravo nello studio del caso, la personalità di Salvatore Moccia (nome di fantasia) emergeva in tutta la sua variegata complessità. Ho iniziato a scriverne senza pretese: “Provo e vediamo cosa succede”, mi son detta e in poche ore ero già entrata nella storia. I fatti s’incastravano tra loro in una sequenza narrativa che riesumava dal dimenticatoio quella calda estata del 2010, in cui il territorio della costiera sorrentina era allertato dalla disseminazione di ordigni esplosivi. I personaggi prendevano vita con tutto il loro bagaglio emozionale, quello che non può trapelare dai giornali e dai resoconti cronicistici. “Unabomber” è la storia di Salvatore, ma anche di tutte quelle persone che affondano le proprie fragilità nei deliri di una follia ritenuta salvifica.
M.C.
CASA D’ARMA / “UNABOMBER”, IL BOMBAROLO DELLA COSTIERA – racconto
Sant’Agnello, 29 agosto
Il giovane carabiniere Alessandro Marsi affonda il piede sull’acceleratore e in pochi minuti è alle calcagne dell’auto in fuga. Giusto qualche metro ed il veicolo accosta ponendo fine al repentino inseguimento.
Al volante, un uomo di mezza età, l’espressione impaurita, farfuglia qualche parola in modo confuso, poi alza le mani e smentisce una qualsiasi implicazione nei fatti.
Un pover uomo spaventato dall’improvvisa esplosione, nulla più.
Alessandro lancia uno sguardo d’intesa al brigadiere Pasquale Petrazzi e l’uomo è libero di tornarsene a casa, di allontanarsi da quella confusione caotica.
Sarebbe stata un’anonima calda sera di fine agosto, con un banale via vai di auto e pedoni, magari con qualche turista in giro, alla ricerca di un market ancora aperto. Invece, lo spiazzale antistante la farmacia Palagiano è in pieno subbuglio, ancora l’eco del botto nelle orecchie dei presenti.
«E` scoppiata da quel cassonetto lì, marescia’!», urla una signora.
Alessandro e Pasquale raggiungono i colleghi. Il tempo di appurare le ultime verifiche e le pattuglie si organizzano per rientrare in Casa d’Arma, dove è appena giunto il luogotenente Armando Baschi, in attesa di ascoltare da loro quanto emerso durante il sopralluogo.
L’anziano comandante è piuttosto sovrappensiero: il caso si sta rivelando più complesso del previsto. Apre il fardello per esaminare le ultime documentazioni ed effettua l’ennesima ricostruzione dei fatti, come se così facendo potesse far emergere un indizio. Vorrebbe in qualche modo poter smuovere le indagini dalle acque impaludate in cui riversano ormai da svariati giorni.
Questa sera, poi, l’ennesimo ordigno. Nessun ferito, ma ancora panico in Penisola Sorrentina.
L’anonimo bombarolo in meno di due settimane è riuscito nell’intento di diffondere psicosi ed allarmismo.
Forze dell’ordine, nucleo di artificieri, Guardia Costiera, psicologi e criminologi sono impegnati a dargli la caccia per smascherarlo.
Tutti ad avanzare ipotesi su chi possa nascondersi dietro queste azioni insensate, magari imbrigliate di connotazioni politiche o economiche.
Baschi no. Difficilmente esprime pareri senza avere un minimo di certezze.
Il comandante pazienta, attende che gli indizi si incastrino a dovere, prima di dire la sua.
Sfoglia i verbali, rilegge lo svolgimento dei fatti, medita tra sé.
Un’idea se l’è fatta.
Dietro la voce allarmista e compiaciuta delle telefonate anonime, dietro quegli avvisi di bombe pronte ad esplodere, immagina il fragile delirio di un uomo solo, desideroso di farsi in qualche modo spazio, di rubare la scena in una società altrimenti distante da lui.
Già, ma chi? Qualche nome è uscito, ma nulla di concreto.
“Comandante, eccoci”. La voce squillante del brigadiere Petrazzi rimbomba nel vuoto silenzio della stanza. I carabinieri di rientro dalla pattuglia si dispongono intorno all’ampia scrivania.
Baschi chiude il fardello e prende posto nella sedia girevole in pelle. Sono quasi le due del mattino, ha il volto stanco, questo caso va risolto quanto prima.
«Allora? Cosa mi raccontate?»
L’esplosione della bomba carta, il panico tra gli astanti, l’inseguimento di una macchina in fuga, i giornalisti alla ricerca dello scoop. Nulla più. Nessuna traccia rilevante per uscire da questo impasse e dare una svolta alle indagini.
Il luogotenente ondeggia con frenesia le gambe, aiutato dal movimento rotatorio della sua seduta.
Un’unica concessione, questa, alla sottile inquietudine da cui si sente invaso.
“Va bene. Andate pure.”
Né lo sguardo fermo, né la voce autoritaria tradiscono invece la sua indole rigorosa.
Resta lì, da solo, ancora per qualche minuto, a dondolare le gambe e a meditare.
Il bombarolo sarà soddisfatto.
E`dalla metà di agosto che si diverte a spargere ordigni sul territorio…
Meta, 17 agosto
“Ci sono quindici bombe nelle spiagge di Meta!”
Un annuncio secco. Sopraggiunto all’improvviso ieri, nelle calde ore del primo pomeriggio.
La prima telefonata anonima del prode attentatore.
Sembrava fosse uno scherzo, una bravata lanciata a ridosso del Ferragosto per allertare le affollate spiagge di Meta.
«Ci sono quindici bombe!», la segnalazione sapeva di utopico, non si accordava alla quieta routine della vita in costiera.
Il goliardo avviso non aveva ancora sortito l’effetto desiderato, non gli era stata data l’importanza sperata.
“Ci sono quindici bombe!“, parole lasciate a sé, sospese nell’afa della calura estiva, nel vocio confusionario dei bagnanti; parole evaporate nel fruscio delle onde marine, mentre del materiale esplosivo s’insinuava davvero tra i fini granelli sabbiosi dei lidi metesi.
Non quindici le bombe, come si era gridato ai quattro venti, ma sei. Tutte potenzialmente pericolose, in grado di provocare mutilazioni e danni ingenti ad esplosione avvenuta.
Il primo di questi ordigni viene scoperto oggi, sul far del tramonto.
Così, per caso.
Il bagnino di turno è impegnato a livellare la sabbia, quando nota uno strano aggeggio che sporge da un cumulo di arenile, nei pressi di un ombrellone. Lo osserva incuriosito, ne intravede soltanto una piccola parte, luccicante al sole.
L’uomo si avvicina con fare rapido. Ha fretta di completare la sua mansione per tornarsene a casa dopo una laboriosa giornata.
Si ferma a pochi passi da quel piccolo oggetto. Sembra sia fatto d’acciaio.
“Ci sono quindici bombe!“, parole sentite e riascoltate ad oltranza in quelle ultime ore. Tutti ne parlavano allo stabilimento. Eppure gli vengono in mente soltanto adesso, dopo aver incautamente lanciato quello che potrebbe essere uno dei quindici temuti ordigni.
Lo ha spinto d’impulso con il rastrello in direzione della battigia per poi rendersi conto dell’incauto gesto.
In questi interminabili secondi si libera prontamente del rastrello per allontanarsi di scatto. Scansa a stento un ombrellone, mentre quelle parole riecheggiano nella sua testa: “Ci sono quindici bombe!”
L’eco di questo allarme aleggia nell’aria e si amplifica quando l’oggetto sta per schiantarsi sulla riva.
Il bagnino si copre d’istinto le orecchie.
Resta fermo per qualche secondo, per poi rendersi conto che non c’è stata nessuna esplosione.
Sarà stata suggestione, la sua.
O forse no?
L’appuntato Mario Brini si trova sul posto, in pattuglia.
L’intera zona, dopo la telefonata anonima del giorno prima, è sotto osservazione. Si tratti o meno di una burla, nulla va sottovalutato.
«Venga, guardi cosa ho trovato!»
Il bagnino si avvicina con discrezione al carabiniere, con la ritrosia di essersi lasciato impressionare dai fatti, ma anche con il dubbio di trovarsi di fronte a qualcosa da non prendere sottogamba.
La bomba è lì, mimetizzata tra gli accumuli di sabbia, sopita dalla mancata pressione sulla polvere da sparo contenuta in un cilindro d’acciaio lungo circa quindici centimetri.
Sarebbe bastato posizionarla in verticale, in modo da far sì che l’inserimento di un piede di ombrellone o di lettino potesse premere in asse sul cilindretto, causando così lo scoppio del materiale pirico inserito.
Il fiero bombarolo, però, si era limitato a spargere alla buona questa sua “creatura”.
Anche le altre le aveva disposte a casaccio sotto le dune sabbiose, prima di urlare al mondo quella folle prodezza.
“Ci sono quindici bombe!”
Ecco la prima.
L’obiettivo è stato raggiunto: l’arenile evacuato per far brillare l’ordigno, la folla impaurita in fuga, le forze dell’ordine allertate.
E lui lì, tra la gente, regista compiaciuto, si gode lo spettacolo.
Il suo momento di gloria è finalmente arrivato.
Meta, 1 settembre
Mezzogiorno.
Lo scampanio della basilica di Santa Maria del Lauro sovrasta su tutti gli altri rumori: i botti, le chiacchiere della gente, la musica delle bancarelle, i clacson delle macchine nel traffico.
I vigili cercano di mettere ordine nella confusione dell’apertura della novena settembrina per la festa patronale del paese, ma il via vai è continuo.
Salvatore sfreccia sul suo scooter, poi rallenta per parcheggiare.
Fischietta allegro, ogni tanto mette il piede a terra.
Trova posto nel piazzale del bar, davanti alla chiesa.
Scende con un saltello e si dirige verso il chioschetto dell’edicola.
Compra un bel po’ di giornali locali, si siede su una delle panchine per sfogliarli rapidamente e appena trova gli articoli di suo interesse, sorride compiaciuto.
Strizza gli occhi al sole. La forte luminosità dei raggi lo infastidisce, ma non lo dissuade da quell’orgogliosa lettura:
“Le indagini in corso”, “Paura in Penisola Sorrentina”, “Ordigni sulle spiagge, cresce la psicosi”.
Dopo una prima visione dei titoli, si sofferma su un trafiletto:
<<Stato di allerta sulle spiagge del litorale metese dove cresce la psicosi per Unabomber, che dal 17 agosto scorso sta disseminando materiale esplosivo sugli arenili degli stabilimenti balneari. Dopo il “Lido Marinella”, protagonista del primo ritrovamento dell’ordigno nel pomeriggio di martedì 17 agosto, nello scorso 24 agosto, ancora di martedì, l’attenzione si è spostata sui lidi dei “Bagni Resegone”, dove gli artificieri hanno prelevato e neutralizzato intorno alle 22 e 30 un secondo ordigno pressoché identico al precedente. Il dispositivo sarebbe stato trovato da alcuni pescatori nascosto sotto una barca in prossimità della battigia e successivamente spostato nel posto da dove gli artificieri lo hanno prelevato.>>
Salvatore legge e rilegge l’articolo, quindi risale sullo scooter, su quella sella che diventa un trono, perché lui è il re delle bombe.
Accelera spedito, le due dita monche non gli impediscono di destreggiarsi bene con lo sterzo.
Si torna a casa, direzione Sant’Agnello, Colli di Fontanelle.
Continua a fischiettare, poi intona un canto:
«Che bella cosa, è na iurnata e sole … Una bomba! Una bomba!»
Pochi minuti ed è nella sua stanza. Conserva i nuovi ritagli degli articoli che parlano di lui.
Ormai è il protagonista, la scena è tutta sua.
Il sipario deve restare aperto, però.
Apre l’armadietto e prende due barattoli di pelati vuoti, nastro adesivo e … polvere da sparo.
Dispone tutto su un tavolo e armeggia indisturbato.
Il boss è al lavoro.
La decennale esperienza di operatore manovale adesso è al suo servizio, gli è necessaria per stare alla ribalta, perché lui è il mitico Unabomber.
Stavolta si cimenta in una preparazione più sofisticata. Sovrappone le due latte di pomodoro, le lega con il nastro e poi chiude il tutto con un disco di vetro, una sorta di lente d’ingrandimento.
L’ordigno è pronto. Quando sarà posizionato nel prossimo luogo prescelto, in via Cappuccini a Sant’Agnello, i raggi del sole penseranno a fare il resto: in una determinata inclinazione si rifrangeranno infatti sul vetro causando l’esplosione.
Salvatore ripone l’ingegnoso aggeggio in un cassetto, poi si guarda allo specchio, scruta quel volto dall’aria scanzonata.
Ah, se gli altri sapessero!
«Salvato’, vieni a mangiare!», la voce di sua madre lo riporta alla monotona cadenza dei suoi giorni, tutti così uguali e ripetitivi. Troppo.
Ma adesso ha una missione speciale, è una persona importante.
Tutti parlano del misterioso attentatore, è famoso ormai.
«Che bella cosa, è na iurnata e sole … Una bomba! Una bomba!»
«Salvato’, si fa freddo!»
«Vengo, mammà, cinque minuti e vengo!»
La signora brontola spazientita.
Sistema le stoviglie nel lavello, poi rivolgendosi all’altra figlia: «Tuo fratello è strano!»
«Non mi dici niente di nuovo!»
«Eh, ma in questi giorni è troppo strano!»
«Lo sai com’è fatto, no?»
«Ma non sarà mica lui il bombarolo?»
«Mamma, non sia mai! Ci mancherebbe solo questa!»
Sant’Agnello, via Cappuccini, 15 settembre
Gaetano strappa le ultime erbacce, poi annaffia le piante dei vasi e quelle delle aiuole.
L’anziano giardiniere raccoglie i bustoni con tutto il materiale di scarto e sta per ritirarsi, quando la sua attenzione è presa da un riflesso di luce.
Da lontano sembra si tratti di due barattoli di vetro sovrapposti.
Incuriosito, si avvicina.
Nel mentre si asciuga la fronte, già grondante di sudore.
Il sole non è ancora alto nel cielo, ma i suoi raggi si fanno già sentire.
A una certa età, poi, tutto diventa più difficile, anche sopportare il caldo.
Intorno a lui un silenzio quasi surreale, incrinato soltanto dal lontano rifrangersi delle onde del mare e dalle strida di qualche gabbiano.
Volge gli occhi al cielo per mirare il volo di questi agili volatili bianchi, ma la luminosità del sole ne impedisce la visione.
Abbassa lo sguardo e continua ad avanzare, finché un fulmineo bagliore riflesso da quel sinistro oggetto vitreo non lo dissuade.
Si copre gli occhi, di nuovo provati dai fastidi delle luminescenze solari e da una debita distanza scorge della polvere nera contenuta nei barattoli.
Possibile? Che sia una delle bombe?
Nel dubbio, procede con la segnalazione.
In Casa d’Arma, a ricevere la telefonata è il giovane Marsi.
Appena qualche minuto e il luogotenente Baschi giunge sul posto insieme a due sue uomini; con loro anche il commissario Maratti a capo di una pattuglia della Polizia di Sorrento.
E´ da quasi un mese ormai che le forze dell’ordine collaborano alla soluzione del caso, affiancati anche da altre unità operative specialistiche, ma finora nessuna certezza, soltanto ipotesi e un ventaglio di nomi di persone sospettate come probabili rei.
L’ordigno segnalato stamane nei pressi della chiesa dei Cappuccini stavolta è impostato su una tecnica più complessa.
Gli artificieri, dopo aver disinnescato il dispositivo, rendono nota la tipologia utilizzata in quest’occasione: la polvere pirica sarebbe esplosa non appena avesse ricevuto la perpendicolare incidenza luminosa dei raggi solari.
Baschi fa tra sé e sé l’ennesimo punto della situazione.
Il bombarolo ha una certa esperienza, ovvio. Un livello comunque amatoriale, però, visto che gli altri ordigni erano piuttosto rudimentali.
Non sembra poi avere un piano prestabilito: colpisce dove capita, non necessariamente in posti affollati. La strada dietro la chiesa dei Cappuccini, per esempio, non ha questo gran via vai di persone, come anche il piazzale avanti alla farmacia Palagiano, dove un paio di settimane prima era scoppiata una bomba carta.
Il comandante si avvicina al muretto, si fa spazio tra le piante con le foglie ancora bagnate dall’annaffiatura.
Guarda verso il mare, mentre un gabbiano plana poco lontano da lui.
Nessun movente, pensa, solo il desiderio di far parlare di sé. E ci sta riuscendo.
Chi si nasconde dietro tutte queste azioni insensate?
Baschi medita sui nomi papabili ipotizzati finora.
Si sofferma su quello di Salvatore Mocci, il manovale sulla quarantina che ogni tanto vede passare con fare frenetico avanti alla caserma. Abita nella zona dei Colli di Fontanelle, dove sono state fatte esplodere bombe della stessa tipologia di quelle trovate nelle spiagge metesi. Una probabile sperimentazione prima di procedere sui lidi.
L’uomo, inoltre, ha una certa esperienza lavorativa con la preparazione di ordigni, come dimostra la perdita di due dita per una bomba d’acqua esplosa durante una battuta di pesca di frodo.
Sono diversi giorni che lo braccano con discrezione. L’altra mattina, Baschi lo aveva invitato ad entrare in caserma.
«Venga, le offro un caffè.»
Salvatore passeggiava fuori Casa d’Arma, andava avanti e indietro più volte, quasi volesse sfilare davanti ai suoi cacciatori; lui, la preda non catturata, libera di colpire ancora.
Il comandante aveva cercato di metterlo a suo agio, parlando del più e del meno, con fare amichevole.
Marsi e il maresciallo Giovanni Prati erano in stanza e si scambiavano sguardi increduli. Non erano abituati a questa versione mansueta del loro superiore, sempre così risoluto.
L’operaio sorseggiava il caffè. All’inizio era un po’ intimorito, poi man mano si era lasciato andare e chiacchierava spavaldo, raccontando aneddoti e fatti gloriosi del suo passato. Baschi lo osservava, ne percepiva la brama di far parlare di sé, per rompere il guscio di solitudine in cui si sentiva da troppo tempo imprigionato.
Un uomo solo, chiuso nel suo delirio di pensieri scanzonati, in quella folle volontà di interagire a modo suo con il resto del mondo.
18 settembre, Colli di Fontanelle, Sant’Agnello
Un ultimo tiro di sigaretta e il carabiniere Marsi riprende il cammino.
Si guarda intorno con fare scrupoloso, avanza piano, non vuole trascurare nulla. In questa zona il misterioso bombarolo avrebbe fatto esplodere diversi ordigni.
“Unabomber” è il primo caso importante a cui il giovane prende parte attiva da quando si è arruolato.
Spesso si ritrova sovrappensiero, prova ad incastrare i fatti.
L’altro pomeriggio ragionava ad alta voce, faceva il punto della situazione, scribacchiava appunti.
«Alessà, fai una pausa, ti si annebbia il cervello», lo punzecchiava il brigadiere, Pasquale Petracchi.
Eccolo arrivare.
Accosta l’auto, era anche lui in giro a perlustrare la zona. Capita sempre più spesso i due si ritrovino insieme in pattuglia.
All’inizio, Marsi era quasi in soggezione, i modi spicci di Pasquale lo infastidivano.
Col tempo, però, si è ambientato, ha preso più confidenza con la maggior parte dei colleghi e anche con il brigadiere Petracchi. In fondo, dietro al suo fare risoluto, a volte un po’ grezzo e scortese, si cela un uomo genuino, dall’indole bonaria, a volte anche paterno e protettivo.
Scende dalla macchina, accende una sigaretta e si avvicina al giovane.
«Calma piatta», bofonchia sotto i baffi neri, mentre trascina la sua mole grassoccia.
«Anche qui», gli risponde Alessandro.
Pasquale storce il naso, l’espressione spazientita svela tutta la tensione accumulata per questo caso. Sono giorni che tengono sotto controllo il manovale Mocci e altri due tipi sospetti, due malviventi, anch’essi presunti bombaroli. Nessuna prova certa, però.
«Faccio qualche altro giro», esclama il brigadiere, prima di risalire nell’auto.
Marsi vuole accendersi un’altra sigaretta, ma neanche il tempo di prendere l’accendino, che scorge a qualche metro di distanza un gruppo di operai. Nei paraggi c’è un fondo agricolo, saranno i dipendenti, pensa tra sé il carabiniere. Gli uomini lo avvicinano, timorosi.
«Tenente, state cercando le bombe?»
Marsi scruta ad uno ad uno i loro volti, senza rispondere.
«Tene’ … »
«Che sapete? Ditemi tutto.»
«Non so, forse non è importante, forse …»
«Ditemi tutto!»
«Ieri abbiamo visto un uomo scappare, aveva … aveva dei raudi, ma magari, sapete com’è, non è detto …»
«Chi era? Lo conoscete?»
Gli operai fanno un passo indietro, balbettano qualche parola confusa, poi cedono allo sguardo determinato di Alessandro e rivelano finalmente nome e cognome dell’uomo sospetto.
Salvatore Moccia.
«Pasquale, vieni subito a prendermi, torniamo a Casa d’Arma, ho già avvisato il comandante.»
Quelle che seguono sono ore frenetiche. Dopo essersi procurato il cartellino fotobiografico all’anagrafe del comune di Sant’Agnello, Marsi torna sul posto, dagli operai.
Mostra la foto di Salvatore.
«Confermate sia lui?», chiede loro, ma nessuno gli risponde.
Il giovane, spazientito, passa a modi più bruschi, quasi non si riconosce in queste vesti.
Ormai è qui a Casa d’Arma già da un paio di mesi. Sono cambiate un po’ di cose dal suo arrivo quando, appena arruolato, si era trovato alle prese con l’omicidio di villa Pandolfi. Allora si sentiva un pesce fuor d’acqua, quasi temeva di aver sbagliato scelta lavorativa. Ha faticato non poco per farsi spazio e per convincersi finalmente di essere nel posto giusto.
«Allora? Mi rispondete o dobbiamo fare un giro in caserma?», sbotta, risoluto.
Gli uomini annuiscono.
Colli di Fontanelle, 23 settembre
«Che bella cosa, na jurnat e’ sol … Una bomba! Una bomba!»
Canta a squarciagola, Salvatore. Rivede tutti i ritagli di giornale, sono sempre di più.
La stampa parla di lui, tutti si chiedono chi sia il misterioso attentatore sorrentino.
L’improvvisa e forte scampanellata lo fa quasi sobbalzare.
Resta nella sua camera, a porte chiuse, come se presagisse il pericolo.
«Salvato’, vieni subito!», la voce allertata di sua madre lo inquieta ancor di più.
La raggiunge nel salotto e si ritrova davanti più di venti persone tra carabinieri, poliziotti, ispettori e chissà chi altri, piazzati lì, tra le mura di casa sua.
Tutta la spavalderia di prima svanisce all’istante, per far posto all’ansia e all’agitazione.
Inizia a sudare freddo, Salvatore.
Il bombarolo che ha piegato l’intera penisola sorrentina, ha paura.
Tutti quegli uomini in divisa violano la tranquillità del suo appartamento, invadono gli spazi, perquisiscono in ogni angolo.
Sua madre si è seduta sul divano, le mani tra i capelli in segno di sconforto. Alza il capo e lancia uno sguardo d’intesa alla figlia.
E` fatta, la storia di Unabomber finisce qui.
Salvatore si sente braccato, quasi gli manca l’aria.
Ha la vista annebbiata dall’emozione, eppure riesce a distinguere il volto amico del comandante.
Baschi gli si avvicina: “Salvatore, allora?”.
L’uomo butta un respiro forte, cerca di fare il disinvolto, ma la sua faccia sbiancata la dice lunga.
«Comanda’, ora racconto tutto, ma dobbiamo stare solo noi due!»
Pochi istanti e il salotto dell’indagato si svuota.
Il manovale resta da solo con Baschi per un colloquio a quattrocchi.
«Comanda’, a voi lo posso dire, sono stato io a mettere le bombe!»
La confessione di Salvatore è arrivata rapida, neanche il tempo di porgli qualche domanda.
Gli era bastato sentirsi scoperto per cedere e raccontare tutta la verità.
Il luogotenente lo guarda con aria commiserevole.
«Vieni con me», lo esorta.
Entrano in macchina e ad uno ad uno, Salvatore svela i posti in cui aveva piazzato i suoi ordigni.
Bombe rudimentali, ma potenzialmente pericolose.
Un gioco diventato troppo grande, che poteva finire in tragedia.
Un gioco dettato dalla voglia di sfidare, di salire alla ribalta ed emergere così dalla monotona solitudine di una vita banale e povera di gloria.
Non resta che collaborare adesso, prima di scontare la pena in carcere.
«Qui, comanda’, girate a destra … »
Salvatore indica le strade da seguire.
A un certo punto, assume un’espressione compiaciuta. Si sente importante a starsene seduto lì, vicino al luogotenente, a dargli disposizioni sulle sue prodezze.
«Poi andate verso Sorrento, di qua, sempre diritto …»
Appoggia la schiena, stiracchia le gambe.
Sorride.
Lui è Unabomber, il bombarolo della costiera.
Mariaelena Castellano