Per risalire alle prime manifestazioni artistiche della specie umana, facciamo un grande salto indietro nel tempo, fino ad arrivare alla Preistoria, ovvero a quel lungo periodo della vita terrestre che precede l’invenzione della scrittura.
Per uno studio più agevole, si è effettuata una distinzione in diverse ere preistoriche e, tra queste, a interessare il nostro discorso sono le fasi più recenti, a partire dalla comparsa dei primi Ominidi. Parleremo dunque di Paleolitico, Mesolitico, Neolitico ed Età dei metalli.
Il Paleolitico inizia all’incirca due milioni di anni fa e si conclude intorno ai 10.000 anni fa.
Tuttavia, soltanto nel cosiddetto Paleolitico Superiore (dai 35.000 ai10.000 anni fa circa), si riscontrano le prime manifestazioni artistiche più creative e originali, riconducibili alla specie dell’Homo Sapiens. In questa fase gli uomini, oltre alle pressanti esigenze di sopravvivenza, avvertono anche il bisogno di esprimersi con creatività e di attestare la propria esistenza tramite l’elaborazione di segni e la produzione di manufatti.
L’uomo del Paleolitico vive di caccia, di pesca e di raccolta. Non ha dimora fissa: è costretto a spostarsi per seguire la selvaggina, ma anche per riparare in zone meno fredde.
La precarietà della vita, dovuta ai continui adattamenti per la sopravvivenza, spiega quel gran bisogno di certezze, ravvisabile sin dalle prime creazioni artistiche dei nostri antenati.
Le pitture e le incisioni rupestri(*) realizzate lungo le pareti delle caverne, per esempio, possono essere interpretate anche come la volontà di documentare il proprio passaggio in quello spazio.
Ecco, allora, una gran varietà di impronte di mani(*), inquadrabili come una sorta di proclamazione di esistenza nel mondo; e poi, svariati segni dipinti o incisi: perlopiù raffigurazioni di animali, ma anche immagini di difficile interpretazione, con misteriose creature segnate da una fascinosa aura magica.
Grotte di Altamira (Spagna)
Anche dinanzi a soggetti riconoscibili, infatti, permane un senso di irrealtà: le figure sono isolate e sembrano fluttuare in uno spazio vago, non identificato; esse non sono collegate tra loro, si ignorano, come sospese in una dimensione altra.
Ciò potrebbe spiegarsi con il desiderio dell’uomo primitivo di aprirsi dei varchi in un mondo soprannaturale, prendendo così le distanze dalla sua difficile quotidianità, per poi tentare di volgerla al proprio favore. L’arte, in tal senso, è concepita come una necessità legata ai rituali del tempo ed è finalizzata a intervenire sulla realtà per provare a migliorarla.
Gli artisti preistorici costruiscono impalcature rudimentali per raggiungere i soffitti e le parti alte degli ambienti più interni delle grotte: si addentrano in anfratti bui e nascosti, non destinati a finalità abitative, bensì a riti e culti magici.
Gruppi di uomini si avventurano in queste imprese, operano insieme per realizzare un lavoro collettivo nel quale inventano un linguaggio semplice, ma fortemente comunicativo. La loro arte è votata a un significato di tipo magico-propiziatorio, che tende a prevalere sulle esigenze estetiche o decorative: quel che conta è dotare le immagini di un potere benaugurale, in grado di proteggere e donare buoni auspici.
In particolare, le raffigurazioni degli animali alludono alla possibilità di augurarsene la cattura, per scongiurare i timori legati a un cattivo esito delle battute di caccia, indispensabili per la provvigione del cibo e, quindi, per la sopravvivenza.
Bisonti, cervi e mammut vengono dipinti con grande accuratezza tecnica da provetti incisori e pittori, che mostrano di conoscere bene i soggetti raffigurati, avendoli di certo osservati durante la caccia.
Alla finalità del buon augurio rispondono anche le numerose statuette di figure femminili.
Si tratta di piccole sculture appena abbozzate, ma dalle forme abbondanti, volte ad accentuare l’idea di femminilità e, quindi, di fecondità. L’auspicio è relativo al desiderio di procreare, per perpetuare la specie umana ed esorcizzare così la paura della morte e dell’ignoto.
Queste immagini, dette Veneri in onore della dea della fertilità, alludono per estensione di significato anche alla necessità di un terreno produttivo che possa assicurare un buon raccolto.
Le opere pervenute sono in pietra, osso e avorio, ma anche in steatite, un minerale dalla consistenza gessosa, facilmente lavorabile.
Un famoso esemplare è la Venere di Willendorf, dal nome della località austriaca dove viene rinvenuta nel 1908.
La piccola statuina, databile tra i 26.000 e i 25.000 anni fa, presenta un volto tondeggiante sovrastato da un copricapo di conchiglie e un corpo dalle forme generose, allargate a dismisura.
Nonostante la sommarietà dei tratti, l’opera è caratterizzata da una vigorosa enfasi espressiva, mentre la resa naturalistica è subordinata alla simbologia della fecondità e dell’abbondanza.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIU'...
LA LAVORAZIONE DELLA PIETRA NEL PALEOLITICO
Il termine Paleolitico significa “età della pietra antica”, dal greco παλαιός, antico, e λίθος, pietra, con riferimento alla tipologia di lavorazione della pietra, scheggiata in modo piuttosto rudimentale.
Tra le varie tipologie litiche, ricordo l’amigdala, dal greco ἀμυγδάλη, mandorla, che fa la sua comparsa intorno ai 450.000 fa.
Si tratta di un ciottolo a forma di mandorla, appuntito all’apice e tagliente ai bordi, probabilmente utilizzato come arma per difendersi e per cacciare. Ricavato da frammenti di pietre dure, quali il basalto o la selce, più raramente da ossa, viene indicato anche come pietra bifacciale, in riferimento alla scheggiatura effettuata su entrambi i lati.
INCISIONI E PITTURE RUPESTRI
Tra gli esempi più noti di incisioni e pitture rupestri, ricordiamo le celebri testimonianze ad Altamira (Spagna) e a Lascaux (Francia).
In Italia, sono famosi i rinvenimenti in Val Camonica (Lombardia), ai Balzi Rossi (Liguria), a Tivoli (Lazio), a Paglicci e Romanelli (Puglia) e nelle cavità del Monte Pellegrino (Sicilia).
Nella maggior parte dei casi, si tratta di scene di caccia, più raramente di figure femminili, guerrieri o stregoni.
L’uomo primitivo realizza le incisioni attraverso l’uso di pietre appuntite, con cui solca la superficie della roccia per definire i contorni.
I dipinti, invece, si avvalgono di vivaci colorazioni, in un primo tempo ottenute stendendo il colore con le mani, in seguito tramite l’utilizzo di rudimentali pennelli di legno realizzati con foglie, peli di animali o penne d’uccello. I colori si ricavano da pigmenti naturali: minerali terrosi vengono sbriciolati e mescolati a leganti forniti da grassi animali o da tinture vegetali.
Che si tratti di incisioni o di pitture, esse risultano delineate da un tratto sicuro e deciso, con contorni ben definiti, capaci di sprigionare una vigorosa energia. Le raffigurazioni, dotate di grande immediatezza espressiva, sono realizzate con una straordinaria vivacità e paiono pulsare di vita propria. Spesso, poi, le scene vengono collocate sui dislivelli delle pareti rocciose: sporgenze e rientranze consentono così il raggiungimento di un suggestivo effetto tridimensionale.
LE GROTTE DELL’ADDAURA: QUANDO I CULTI DEL PASSATO RIVIVONO NELLE RAFFIGURAZIONI RUPESTRI
Tra i più noti reperti preistorici, figurano le suggestive incisioni delle Grotte dell’Addaura, tre cavità naturali aperte nel massiccio del monte Pellegrino, in provincia di Palermo. Si tratta di uno straordinario ciclo di graffiti rupestri collocabili tra i 14.000 e gli 8.000 anni fa e venuti alla luce nel 1943. Tra le immagini incise spicca una sequenza di uomini e animali. A dominare la composizione è un gruppo di personaggi disposti in circolo, intorno a due figure centrali con il corpo fortemente inarcato.
La scena, caratterizzata da un vivace effetto di dinamismo e da un tratto fluido che denota padronanza nella tecnica, è di dubbia interpretazione. Alcuni studiosi sostengono si possa trattare di acrobati. Una seconda versione, che mi sento di approvare, ipotizza sia stato raffigurato un rito primitivo: si è pensato a un sacrificio di due persone oppure a una cerimonia di iniziazione guidata da sciamani. Al di là del loro significato iconografico, queste immagini rappresentano una fondamentale testimonianza dell’arte preistorica italiana, distinguendosi per l’alto valore documentaristico.
LE MANI DEI NOSTRI ANTENATI
Per lasciare le impronte delle proprie mani sulle superfici rupestri, gli artisti del Paleolitico utilizzano due tecniche. Se realizzano le sagome premendo le mani intinte nel colore sulla parete, si parla di impronte in positivo; viceversa, se il colore è spruzzato sulla mano appoggiata al piano roccioso, l’impronta è in negativo. In quest’ultimo caso, la tecnica a spruzzo si effettua diluendo il colore in bocca, con la saliva, per poi soffiarlo direttamente o tramite una cannuccia ricavata da un sottile osso cavo.
Tra le testimonianze più note di impronte di mani preistoriche, segnalo i reperti rinvenuti nella Cueva de las Manas (Grotta delle Mani), in Argentina (11.000-7.500 a.C.).
VISITIAMO!
Le fasi abitative del Paleolitico nell’Italia centro-meridionale sono ben documentate anche da importanti testimonianze rinvenute in Campania. In area beneventana sono emersi reperti relativi perlopiù all’industria litica, mentre nel territorio dell’Irpinia risultano pervenute anche punte di frecce, lame lavorate, raschiatoi, manufatti in selce. Significativi, inoltre, i più antichi e documentati rinvenimenti archeologici di Marina di Camerota, nel salernitano, e dell’isola di Capri.
Nel primo caso, la nota località balneare unisce all’attrattiva turistica dei lidi quella culturale delle suggestive grotte preistoriche. Si ricordano, in particolare, quelle della Cala, del Poggio e della Serratura, raggiungibili a piedi, attraverso interessanti passeggiate naturalistiche; altre grotte, come quella degli Infreschi o delle Noglie, si possono invece visitare in barca. Sempre a Marina di Camerota, si segnala la presenza del Museo Virtuale Paleolitico (MUVIP), nato con l’intento di veicolare la conoscenza archeologica del territorio, trasmettendone l’importanza dei resti preistorici anche attraverso nuovi percorsi tematici.
Nell’isola azzurra, invece, si può visitare il Museo dedicato a Ignazio Cerio, illustre medico e studioso, vissuto tra il XIX ed il XX secolo, autore di importanti ricerche e ricognizioni anche in ambito archeologico.
Il Museo, situato in pieno centro, affacciato sulla mondana piazzetta di Tiberio, ospita reperti fondamentali sia per la ricostruzione dei primi insediamenti abitativi dell’isola, sia per le antichissime fasi “pre isolane”, risalenti cioè a quando Capri era ancora unita alla penisola sorrentina.
Testimonianze preistoriche capresi sono custodite anche a Napoli, nel Museo di Antropologia fondato nel 1881 da Giustiniano Nicolucci. Qui, accanto a reperti provenienti da ogni parte del mondo, si può ricostruire la travagliata situazione territoriale del Paleolitico campano, segnato dalla violenta esplosione vulcanica dei Campi Flegrei, avvenuta all’incirca 39.00 anni fa.
Per la stesura di questa lezione, oltre alla generale bibliografia di riferimento, inserita nella presentazione della rubrica, sono stati consultati anche i seguenti siti: https://www.paleonature.org/archeology/75-l-arte-del-paleolitico-il-cavallo-il-bisonte-e-l-uro https://storia-controstoria.org/paleolitico/arte-del-paleolitico-luomo-preistorico-e-le-sue-immagini https://www.balarm.it/luoghi/grotte-dell-addaura-palermo www.tgtourism.tv/2017/09/10-opere-arte-rupestre-44093 bestglitz.com/italy/13-fatti-sui-dipinti-delle-caverne-chauvet