Verso la metà del III millennio a.C., l’influsso culturale dell’isola di Creta s’impone man mano su quello della civiltà cicladica, fino a prevalere sull’intera area mediterranea per buona parte del II millennio a.C. raggiungendo un periodo di grande splendore tra il 1.700 e il 1.400 a.C.
Forte di una favorevole posizione geografica di snodo tra i commerci orientali e quelli occidentali, la civiltà cretese, detta anche minoica in riferimento al leggendario re Minosse(**), può vantare un agiato tenore di vita.
Le ricchezze accumulate grazie alle fortunate espansioni commerciali si riflettono in un’arte originale, dotata di eleganti effetti decorativi e di un’impronta libera e festosa, tipica di una società raffinata che si pone in modo armonioso con la natura.
Il carattere aperto e pacifico della società cretese si riconosce anche nelle tipologie architettoniche adottate nell’isola. I palazzi cretesi, infatti, sono privi di mura difensive, ma ciò si spiega anche per la presenza di una potente flotta marina su cui poter contare in caso di aggressioni esterne.
Le strutture palaziali, veri e propri centri polifunzionali, raggiungono un’ampia estensione territoriale, tanto da poter essere considerati una sorta di “palazzo-città“. Alle funzioni di residenza del sovrano e di sede del potere politico e amministrativo, si aggiungono, infatti, anche quelle commerciali e comunitarie, con l’inserimento di abitazioni private, in genere dotate di logge colonnate.
I numerosi ambienti risultano spesso in comunicazione tra loro e appaiono distribuiti in modo caotico a causa dei continui ampliamenti ordinati dai vari sovrani. In genere la loro disposizione si articola su diversi livelli di altezza, in base alla conformazione del suolo. Al centro si erge un grande cortile di forma pressoché rettangolare, lastricato e senza copertura, intorno al quale si affacciano gli spazi di rappresentanza, come la sala del trono.
Cnosso, Festo e Mallia sono i principali centri dell’isola e presentano grandiose strutture palaziali.
Risale al 1908 la scoperta nel Palazzo di Festo di un disco di terracotta del diametro di 16 cm, risalente al 1.700 a.C. circa. Sul manufatto, conosciuto come Disco di Festo, sono impressi 241 simboli, la cui interpretazione resta ancora oggi un suggestivo mistero archeologico.
Anche il Palazzo di Cnosso vanta una gran notorietà e non solo grazie al mito del labirinto e del filo di Arianna(*). Numerosi, infatti, sono gli affreschi rinvenuti tra i resti di quest’imponente costruzione, tra i quali segnalo “Il gioco del toro”(*).
L’opera, come la maggior parte delle decorazioni murali rinvenute nell’isola, risale alla fase più prospera della civiltà cretese, ovvero al cosiddetto periodo neopalaziale(*), compreso tra il 1.700 e il 1.400 a.C. circa.
Il soggetto del gioco rituale, qui proposto, rientra nelle iconografie pittoriche più diffuse, tra cui figurano anche le scene di funzioni sacre e di vita di corte. Si tratta di momenti sociali descritti con gran cura e ricchezza di particolari, ma anche con una spiccata tendenza decorativa. Inoltre, i dettagli forniti per abiti, gioielli e acconciature confermano l’agiato tenore di vita cretese.
I dipinti minoici seguono per alcuni aspetti le convenzioni proprie della pittura egizia. Per esempio, nella visione combinata della figura umana, dove il busto è frontale, mentre gambe e volto sono laterali; o ancora nella scelta di usare colori più bruni per l’incarnato maschile. Tuttavia, il linguaggio cretese si distingue per una maggiore naturalezza delle forme, prive di quella accentuata rigidità tipica delle immagini egizie.
La pittura minoica vanta effetti di gran raffinatezza e presenta uno spiccato gusto per la decorazione: la gamma cromatica è singolarmente ampia e i colori vengono stesi in modo piatto e uniforme utilizzando tinte vivaci. La linea di contorno è piuttosto marcata ed è caratterizzata da un andamento ondulato.
Tra le pitture meglio conservate rinvenute nei resti del Palazzo di Cnosso, oltre al già menzionato “Gioco del toro”, vanno ricordati l’affresco dei Delfini e quello delle Signore azzurre, entrambi risalenti al 1.500 a.C. circa. Inoltre, merita menzione il sarcofago dipinto di Haghia Triàda (1.450-1.400 a.C.).
Il linguaggio pittorico cretese raggiunge brillanti risultati anche nella pittura vascolare, un campo contraddistinto da una feconda vitalità decorativa.
I vasi dipinti, ampiamente commercializzati in tutto il Mediterraneo, sono di solito ispirati a soggetti tratti dal mondo naturale, quali piante, fiori, uccelli, ma anche animali domestici e del mondo marino. Il tutto viene però rielaborato attraverso ornamentali forme stilizzate, con un gusto prevalente per la linea sinuosa.
Accanto al repertorio naturalistico, spesso trovano posto motivi astratti e geometrici, con la predilezione per le forme a spirale. Talvolta, vengono incollate applicazioni plastiche, che conferiscono al vaso un ulteriore effetto di originalità e di ricchezza decorativa. I colori utilizzati sono pochi, ma accostati con grande sensibilità cromatica.
Le immagini, dipinte o applicate che siano, si adattano comunque armonicamente alla forma della ceramica, seguendone alla perfezione l’andamento curvilineo.
Inoltre, le innovazioni tecniche, quali il perfezionamento del tornio e del forno di cottura, consentono la produzione di vasi dallo spessore vistosamente ridotto, tanto da definirli “a guscio d’uovo”.
Tra il 2.000 e 1.700 a.C. si afferma la ceramica in “stile di Kamàres”, dal nome della grotta in cui sono state rinvenuti svariati esemplari vascolari. Le eleganti decorazioni di questi vasi rievocano motivi vegetali, spesso disegnati con motivi geometrici e spiraliformi e dipinti con l’utilizzo di colori chiari e vivaci, che spiccano su sfondi scuri.
Nei secoli successivi, lo stile di Kamàres viene progressivamente abbandonato per forme più raffinate, con una maggiore ricchezza di motivi decorativi, distribuiti in modo più uniforme sulla superficie, con un effetto di sorprendente naturalezza.
Prevale, inoltre, la scelta di tinte più scure su di un fondo chiaro e le immagini acquistano una maggiore espressività.
Un esempio di questa fase più tarda è offerto dalla celebre brocchetta di Gurnià (1.450 a.C. ca), decorata con l’immagine di un polipo che estende i suoi tentacoli adattandosi con armonia alle rotondità della ceramica.
Più povera, invece, risulta la produzione scultorea, in quanto priva di statuaria di grandi dimensioni. In compenso, nei piccoli oggetti si raggiungono risultati di gran qualità. Famose le statuette in terracotta policroma raffiguranti la dea dei serpenti, divinità femminile simboleggiante la Dea madre, rappresentata con una lunga gonna a balze e il seno scoperto mentre espone due rettili.
Molto diffusi anche i rhytà(*) a forma di testa di toro, animale venerato nell’isola, in quanto considerato simbolo del principio fecondatore, come già in diffuse credenze di tradizione orientale.
L’abilità decorativa degli artigiani cretesi si manifesta, poi, nella produzione di raffinate opere di oreficeria. Monili e gioielli preziosi documentano anch’essi l’opulenza fastosa di questa civiltà così originale e dinamica, animata da una spiccata vitalità artistica e culturale.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ …
(*)LA CRONOLOGIA
Per uno studio più agevole, la storia della civiltà cretese si distingue in quattro fasi cronologiche, stabilite in base ai reperti archeologici delle grandi strutture palaziali rinvenute nell’isola.
- Periodo prepalaziale (2.500-2.000 a.C.), antecedente all’innalzamento dei palazzi, ma comunque caratterizzato da un vivace panorama artistico.
- Periodo protopalaziale (2.000-1.700 a.C.), relativo alla costruzione dei primi grandi palazzi dell’isola.
- Periodo neopalaziale (1.700-1.400 a.C.), in riferimento alla riedificazione dei palazzi, probabilmente distrutti da un violento terremoto. Questo è il periodo più documentato, che corrisponde al momento di maggior splendore della raffinata cultura artistica cretese.
- Periodo postpalaziale (1.400-1.100 a.C.), ossia la fase di declino della civiltà cretese, segnata anche dai frequenti fenomeni sismici, dovuti alla violenta esplosione vulcanica nella vicina isola di Santorini. In questi secoli, l’arte diventa ripetitiva e perde il suo carattere originale e creativo, lasciandosi progressivamente assorbire dalla successiva cultura micenea.
(**) MINOSSE, IL MINOTAURO E IL LABIRINTO DI CNOSSO
Il fascino della civiltà cretese trae vigore anche dai racconti sulle leggendarie figure del re Minosse e del Minotauro. Le intricate trame di questi miti originari dell’isola di Creta confluiranno poi nella cultura letteraria della civiltà greca costituendone un fondamentale substrato culturale.
Minosse, figlio di Zeus e marito della bella Pasifae, non è ben visto dai suoi cittadini. Per ottenere più consenso, chiede un segno di approvazione divina a Poseidone, dio del mare. Gli viene così donato un possente toro bianco da immolare alle divinità dell’Olimpo. Il sovrano, però, colpito dalla bellezza dell’animale, preferisce non sacrificarlo venendo meno ai patti.
Poseidone, offeso, punisce Minosse e fa innamorare sua moglie Pasifae del toro. Dall’unione tra i due nasce il Minotauro, un essere mostruoso dalla testa di toro e dal corpo umano provvisto di peli e coda.
Minosse fa rinchiudere questa pericolosa creatura nel palazzo di Cnosso, progettato appositamente dal primo architetto della storia di cui si sia tramandato il nome: il mitico Dedalo. La struttura presenta una complessa e tortuosa disposizione di numerosi ambienti, dove risulta difficile orientarsi. Pertanto, viene indicata come “labirinto”, con probabile derivazione dal termine greco λαβιριον , ossia cunicolo scavato nel sottosuolo e diramato in varie direzioni.
Qui il re Minosse, ogni anno, fa pervenire da Atene sette giovani e sette fanciulle, da dare in pasto al Minotauro, per vendicare la morte di suo figlio Antrogeo, ucciso nella città a capo dell’Attica. Per porre fine a questa condanna, Teseo, figlio del re ateniese Egeo, si offre di partire volontario tra i giovani sacrificali. L’eroe riesce a sconfiggere il Minotauro e, aiutato da Arianna, figlia di Minosse, innamoratasi di lui, ritrova anche la strada d’uscita dal labirinto. La fanciulla, infatti, gli aveva fornito un gomitolo da srotolare man mano lungo il tragitto per non perdersi.
Adirato per la fuga di Teseo, Minosse rinchiude Dedalo insieme a suo figlio Icaro nel labirinto. L’ingegnoso architetto-inventore riesce a fuggire costruendo delle ali di penne d’uccello attaccate con la cera. Così, padre e figlio si ergono in volo per lasciare Creta; il giovane Icaro, però, nonostante le raccomandazioni paterne di non avvicinarsi troppo al sole, volteggia sempre più in alto, fino a far sciogliere le sue ali precipitando nel mare. Il suo corpo, rigettato su un’isola che da lui prende il nome di Icaria, viene seppellito da Eracle, l’eroe greco figlio di Zeus e della mortale Alcmena.
Teseo, intanto, intraprende il viaggio di rientro portando con sé la bella Arianna. Tuttavia, prima di approdare in patria, abbandona la fanciulla nell’isola di Nasso, dove verrà consolata e rapita dal dio Dionisio.
Poseidone, infuriato con Teseo per l’affronto arrecato ad Arianna, fa scoppiare una violenta tempesta e le vele bianche dell’imbarcazione ateniese si lacerano. Il giovane è costretto a sostituirle con quelle nere, che si sarebbero dovute issare soltanto per segnalare al re Egeo la vittoria del Minotauro. Il sovrano, nell’avvistare quel segnale funesto, si getta nel mare che ancora oggi porta il suo nome.
DENTRO L'OPERA
(*) IL GIOCO DEL TORO ( 1.700-1.400 a.C. ca – affresco proveniente dal Palazzo di Cnosso, oggi conservato nel Museo Archeologico di Iraklion)
L’affresco presenta un buon stato conservativo, anche se occorre tenerne presente gli ampi interventi integrativi.
La scena, sviluppata lungo un taglio orizzontale, è dominata dalla figura maestosa del toro, mentre ai lati trovano posto due fanciulle, riconoscibili dall’incarnato più chiaro, intente a partecipare al popolare gioco del volteggio acrobatico sull’animale: una gli mantiene le corna, l’altra tende le braccia per aiutare il giovane uomo alle prese con il salto. La linea, sinuosa ed elegante, dona un senso di leggerezza all’intera immagine, nonostante la vistosa mole dell’animale che giganteggia al centro della composizione. L’effetto di raffinatezza dell’opera è ottenuto anche dalla scelta delle delicate cromie degli azzurri e dei marroni, nonché dagli originali motivi decorativi della cornice.
IMPARIAMO I TERMINI
(*) RHYTON: boccale o vaso da libagione che, oltre a un foro più grande da usare per riempirlo, ne ha uno più piccolo che serve per versare il liquido. Il termine è usato anche per indicare un boccale o un vaso da libagione foggiato a mo’ di figura, in genere zoomorfo e non necessariamente dotato del foro più piccolo.