L’Art Decò nasce nel primo dopoguerra, nei “ruggenti anni Venti”, quando la società è desiderosa di lasciarsi alle spalle le brutture del primo conflitto mondiale e si proietta ai lussi e alle raffinatezze di una vita più mondana.
Questa nuova tendenza emerge in relazione all’Expo di Parigi del 1925, “l’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne”, da cui prende nome.
Per la sua vocazione ornamentale l’Art Decò, conosciuta anche come Stile 1925, può considerarsi un prosieguo dell’Art Nouveau, ma di fatto cambiano i riferimenti iconografici e stilistici. Alle linee sinuose e ai soggetti naturalistici si preferiscono adesso decori più rigorosi e geometrici, proiettati all’architettura razionalista di quegli anni, ma anche al mondo tecnologico e industriale, in nome del concetto di modernità.
Come già nell’Art Nouveau, anche adesso si abbracciano svariati ambiti: dalla moda al design, dalle arti visive all’architettura. Altrettanto plurime risultano, poi, le fonti ispiratrici, che annoverano sia linguaggi del passato come il primitivismo, l’arte egizia e il classicismo greco, sia correnti più recenti quali i Fauvismo, il Cubismo e il Futurismo, unitamente all’evocazione di tutto ciò che implichi l’idea di progresso: grattacieli, luci elettriche, automobili…
Ne deriva un linguaggio improntato a una spiccata vocazione geometrica, con giochi di simmetrie, pavimentazioni a scacchiera, motivi a “V”, a raggi e a zig zag, il tutto condito da una raffinata aura di eleganza, a cui concorre l’impiego di materiali pregiati quali l’ottone, l’acciaio, il legno intarsiato, ma anche la pelle di zebra e di squalo.
Inizialmente l’Art Decò si esprime soprattutto nel campo del design di oggetti e arredi, per poi trovare larga applicazione anche nell’architettura (“Empire State Building”).
Sul finire degli anni Trenta, una più democratica produzione di massa acquista crescente importanza e ciò implica un progressivo venir meno del lusso: lo Stile 1925 perde consensi, arrivando a essere deriso come linguaggio eccessivo.
L’austerità imposta poi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ne decreta la fine.
Già a partire dagli anni Ottanta, tuttavia, con il recupero della moda degli anni Trenta, si assiste a un ritorno d’interesse per il gusto Decò, che tutt’oggi viene spesso rievocato in mobilia e suppellettili, quasi a voler vivere di nuovo il fascino di un periodo ovattato nello sfarzo e in una frivola, ma raffinata mondanità.
M.Castellano
TAMARA DE LEMPICKA
Tra le personalità artistiche riferibili all’Art Déco emerge il nome di Tamara de Lempicka (1898-1980), emblema della raffinata eleganza di quegli anni.
Nata a Varsavia, dopo la rivoluzione russa prende dimora a Parigi, incontrastata capitale culturale europea. Qui ha modo di compiere la sua formazione pittorica maturando da subito un suo stile personale, dove le forme spigolose sono levigate dai netti tagli di luce permeati dalla freddezza metallica delle cromie. Ogni dettaglio decorativo è reso con meticolosa cura descrittiva: pizzi e ricami, unghie laccate, gioielli, stoffe pregiate, ciglia finte, perle e guanti di seta rivelano l’interesse per gli aspetti più mondani, come si può riscontrare nei numerosi ritratti realizzati per l’élite del tempo.
Attraverso la sua opera, Tamara propone in chiave inedita il lusso sofisticato dell’Art Decò, senza per questo rinunciare all’emotività che può trapelare da uno sguardo o da un sorriso, creando così un seducente contrasto: al di là delle diafane atmosfere segnate da bellezze algide e apparentemente distaccate, infatti, si evince comunque un’intensa vitalità espressiva, capace di ammaliare e conquistare.
La stessa artista, icona di stile ed eleganza, si pone proprio come i suoi dipinti: eccentrica, trasgressiva, libera, sensuale e fascinosa.
Il suo linguaggio, veicolato da impulsi classicheggianti e post cubisti, emerge come un unicum, come una suadente espressione formale nutrita anche da intenti simbolici. Ciò risulta ben evidente nel suo celebre Autoritratto (Tamara sulla Bugatti verde), realizzato nel 1925. In questa immagine, divenuta iconica, la pittrice si raffigura al volante, avvolta dalla consistenza metallica del suo soprabito, che rimanda alla raffinata colorazione laminata della Bugatti.
In un calibrato primo piano, l’artista lascia emergere tutto il suo sguardo altero e distante, che intriga chi osserva. La mano, ricoperta da un guanto e poggiata con disinvoltura sul volante ribadisce il ruolo dominante della donna, padrona del suo veicolo, simboleggiando così anche l’emancipazione femminile e quel senso di libertà che affiora anche nella fierezza del suo atteggiamento.
(Nell’immagine di copertina: “Ragazza coi guanti”, 1929)