Sono fortunata: il panorama di casa è una cartolina sorrentina, dove Ischia svetta maestosa nel mezzo del golfo partenopeo.
A volte mi soffermo a guardarla e penso al suo antico passato, a quando agli albori della Storia s’imponeva come vivace emporio multietnico: vi approdavano Fenici, Greci ed Etruschi. I coloni ellenici, poi, la scelsero come primo scalo del Sud Italia e le diedero il nome di Pithecussae, probabilmente da pithos, vaso, “l’isola dei vasi”, per richiamare così la florida attività delle numerose botteghe dei vasai isolani. I Romani, invece, la battezzarono Aenaria, forse per collegarla al mito di Enea e delle sue peregrinazioni nel Tirreno. Infine, nell’813, papa Leone III, in una lettera inviata a Carlo Magno, la menzionò con il nome di iscla, isola, poi declinato nella forma definitiva di Ischia.
Ischia, l’isola verde: verde, come il tufo del suo bel monte Epomeo; come le venature smeraldine del mare che la circonda; verde, come la lussureggiante flora delle sue colline boscose.
Ischia, l’isola flegrea: terra vulcanica, plasmata dal magma; Omero la nominò come “Arime”, terra di fuoco: terra mai quieta, fomentata dai vigorosi getti delle fumarole e dalle cocenti sorgenti di vapore.
Ischia, l’isola dai mille volti: lo sguardo si allunga al suo orizzonte e lei appare di volta in volta diversa. Nei giorni di foschia è tutta azzurrognola e i suoi contorni scompaiono tra cielo e mare; nelle giornate limpide e soleggianti, invece, ne leggo tutte le forme, fin quasi a scorgerne le casupole bianche delle coste e i manti verdeggianti delle colline. Al tramonto, si lascia indorare dagli ultimi sprazzi di sole, mentre il cielo si colora di calde cromie, ora gialle, ora rosee o, ancora, rosse. Nelle notti senza Luna, poi, Ischia pare svanire, inghiottita dal buio; ma se sgrano gli occhi, ecco che pian piano la sua sagoma riaffiora, disegnata da piccoli punti vibranti di luce.
M.C.