Giusto un annetto fa, scrivevo “Il sole di Riccione“, rimpiangendo un’estate finita troppo velocemente.
Ebbene, di “bella stagione” ne è già arrivata un’altra, che dopo i suoi primi passi incerti, tra piogge e anomali abbassamenti di temperatura, sembra ormai ben decollata.
Siamo agli inizi di luglio, nel pieno della calura. Afa, pelle sudata che diventa tutt’uno con il vestiario, inevitabili cali di pressione e perenne senso di spossatezza.
Oggi, in particolare, avverto una pigrizia incredibile. Che rabbia: è una bella domenica estiva, ma mi sento fiacca e non riesco a combinare un bel niente.
Ma se combinare un bel niente deve significare starmene a bivaccare tra il divano e la poltrona, sbuffando perché sono priva di energie, sapete cosa c’è di nuovo?
Me ne vado al mare.
Pazienza se nel week end c’è sempre confusione.
“Me ne vado al mare”, come canta Luca Carboni in “Tutti vogliono una grande festa”.
In verità, il testo recita: “Ce ne andiamo al mare”, ma io alla spiaggia andrò da sola.
Non che degradi la compagnia degli altri, anzi.
E´ che ogni tanto sento il bisogno di ritagliarmi uno spazio tutto mio, in cui poter leggere un bel libro, alienarmi nella musica ascoltata con le cuffiette e, perché no?, perdermi nei meandri dei miei intricati pensieri, magari comodamente spaparanzata sulla battigia, con la testa adagiata su un cuscinetto da spiaggia.
Quindi, mare sia.
Sto già pregustando il mio pomeriggio di relax, ma non appena arrivo, mi si profila subito una situazione tutt’altro che rilassante.
Immaginavo il caos della domenica, ma non avevo messo in conto di sudare sette camicie per trovare un posto con lo scooter, né di dover finire posizionata in ultima fila, su un lettino che dista giusto una manciata di millimetri da quelli confinanti.
Urla e schiamazzi in gran quantità, ovvio.
Avrei dovuto scegliere una destinazione meno gettonata, lo so, ma ha prevalso la comodità di raggiungere velocemente una delle spiagge più vicine.
Ho la t-shirt cucita sulla pelle, quasi non riesco a sfilarmela. Persino gli occhiali da sole sono inumiditi.
Sto per rimpiangere il divano, ma non mi perdo d’animo, infilo le cuffiette e metto la musica a tutto volume.
“Un’estate tridimensionale…”, canta ancora Carboni.
Mah, andrebbe bene anche bidimensionale, Luca, basta sia tranquilla, penso tra me e… puff! ecco arrivarmi addosso una gran quantità di sabbia. S’intrufola anche dentro la borsa e sul libro che sto per leggere; diventa tutt’uno con l’olio abbronzante che avevo spalmato sulle gambe e si sparge sul telo in microfibra.
Odio la sabbia.
Mi alzo di scatto e il mio sguardo minaccioso incontra quello insolente di un bambinetto, che avrà su per giù due o tre anni.
La madre è comodamente spaparanzata sul lettino, incurante delle malefatte del figlio.
Mi sdraio di nuovo, sperando il monello decida al più presto di spostarsi in riva al mare, ma in men che non si dica, ricevo un altro getto di sabbia.
Stavolta mi scappa un “Heey, attenzione bimbo!”, gridato anche ai quattro venti, poiché avevo la musica alta nelle orecchie.
La mamma resta sempre bivaccata sul lettino, ma si degna perlomeno di girarsi verso me. Abbassa gli occhiali da sole per scrutare bene in volto chi ha osato riprendere il suo piccoletto e con tutta la nonchalance possibile, sussurra un : “Eh, sono bambini!”, poi rivolgendosi al figlio: “Dai, vieni più in qua!”
Sto per risponderle per le rime, ma mi trattengo. Questo deve essere un pomeriggio di relax, no?
Così onde evitare altri bombardamenti di sabbia, vado a farmi un bagno.
C’è un gran sole, ma l’acqua non è poi così calda. Inoltre, sono sudata e quindi la brezza marina mi fa avvertire quasi un senso di freddo.
Sì, io sono una di quelle persone super freddolose, che anche in piena estate, esita a tuffarsi.
Decido allora di bagnarmi gradualmente, quando alcuni bimbi si buttano in acqua con gran foga, provocando uno tsunami di schizzi, ovviamente tutti direzionati verso me.
Niente, oggi non è giornata.
Dopo un rapido bagno in acque tutt’altro che limpide, torno alla mia postazione, nella super afosa ultima fila di lettini. Prima, però, riempio un secchiello di acqua da utilizzare per rinfrescarmi.
Per procedere devo fare un acrobatico slalom tra sdraio, lettini, passanti, ciabatte, giochi, borse… Ebbene, a pochi passi dalla mia meta, perdo l’equilibrio e… splash!, parte dell’acqua del secchiello finisce proprio sul telo del bimbo “lancia-sabbia”.
Questa volta, guarda un po’, la madre interviene prontamente!
Riesce a “scollarsi” dal lettino, si toglie gli occhiali da sole e con un sorrisetto arcigno esclama: “Uno pari!”
Mi tolgo anche io le lenti per guardare meglio questa tipa stramba con una valanga di kajal nero pece sugli occhi, da far invidia a Cleopatra.
Alzo gli occhi al cielo, mi scuso per l’inconveniente e incasso il suo “Uno a uno”.
Tento di salvare il salvabile di questo pomeriggio al mare e mi immergo nella lettura, sempre con le cuffiette nelle orecchie, per non sentire gli schiamazzi dei bagnanti confusionari della domenica.
Nemmeno pochi minuti e mi ritrovo di nuovo con una valanga di sabbia addosso.
Il piccoletto sogghigna, il suo obiettivo era quello di infastidirmi e ci è riuscito appieno.
Cleopatra finge di non aver visto nulla, nonostante il mio ennesimo “Heey!”
Quindi mi alzo, vado verso di lei ed esclamo: “Due a uno”.
Pronuncio solo queste tre parole, ma con tutto lo sdegno accumulato nel mio pomeriggio tutt’altro che rilassante.
Fatto sta che la signora e il suo bimbetto malefico si allontanano senza battere ciglio.
Ma no, restate pure e schizzate tutta la sabbia che volete: ad andarmene sono io, torno al mio bel divano per trascorrere un banale pomeriggio estivo tra le quattro mura di casa.
Con tanto di aria condizionata e senza sabbia.
Ho imparato la lezione: non c’è miglior luogo di relax di casa propria!
M.C.