Tra gli ultimi decenni del Trecento e i primi del Quattrocento, nell’ambito del linguaggio gotico matura una nuova tendenza indicata con svariate denominazioni: si parla di Gotico cortese, per la sua prevalente diffusione negli ambienti di corte; di Tardogotico, in riferimento al quadro cronologico; di Gotico fiorito, o Gotico fiammeggiante (flamboyant), richiamando le finiture acuminate delle architetture del tempo, simili a scoppiettanti guizzi di fiamme. Infine, sul finire dell’Ottocento, uno studioso francese conia la nomenclatura di Gotico internazionale, che tende a prevaricare sulle altre, poiché evidenzia il carattere corale degli innovativi stilemi artistici emersi in Europa nella fase finale dell’età gotica.
Questa corrente, infatti, nasce da una somma di esperienze diverse e si alimenta di un costante flusso di interazioni, fornite non solo dai frequenti viaggi degli artisti, ma anche dalla circolazione di raffinati manufatti dall’alta qualità artigianale.
Le aree di maggiore diffusione del Gotico internazionale sono quelle di lingua tedesca, nonché i Paesi Bassi, la Boemia, la Penisola iberica e la Francia, dove oltre alla corte di Parigi, spicca il ruolo dei centri di Avignone e di Digione.
Il gusto tardogotico rispecchia l’eleganza lussuosa delle corti europee del tempo, rappresentando un primo significativo esempio di arte medievale laica, svincolata da tematiche e committenze sacre.
I nuovi stilemi esasperano i caratteri tipici del linguaggio gotico, come attesta l’importanza crescente della linea di contorno, che assume un andamento sinuoso dal gran effetto decorativo. La resa dello spazio, invece, risulta connotata da una singolare visione d’irrealtà, a cui non corrisponde l’accurata resa naturalistica dei particolari.
La pittura e la miniatura esprimono al meglio la suggestiva aura fiabesca che contraddistingue il linguaggio tardogotico, ma la produzione scultorea e architettonica, così come le cosiddette “arti minori”(*), non mancano di mostrare significativi riflessi del mutato gusto artistico, che si propaga anche negli aspetti del costume e della vita sociale.
Illustrazioni e dipinti, dotati di una singolare esuberanza decorativa, presentano vivaci effetti cromatici, eleganti linearismi e minuziose descrizioni degli ambienti.
Le immagini rispecchiano l’incanto e lo sfarzo di quest’età, ponendosi come raffinati esempi di un’arte d’evasione. Anche i luminosi fondi aurei e le brillanti campiture piatte invocano una dimensione fiabesca, così cara alle lussuose corti europee del tempo.
Inoltre, la cospicua produzione di codici miniati soddisfa le esigenze di ricchi collezionisti, aprendosi a un repertorio illustrativo non necessariamente sacro.
Tra le principali testimonianze, resta celebre il manoscritto di area franco-fiamminga Les très riches heures du duc de Berry (Il Ricchissimo libro d’ore del duca di Berry).
Anche le opere scultoree si caratterizzano per l’attenzione alla sinuosità delle linee e alla cura dei particolari. Le statue riprendono le conquiste stilistiche dell’età gotica accentuando ulteriormente le forme slanciate e la ricchezza dei panneggi.
Tra le più significative esperienze scultoree del Gotico internazionale, emerge l’opera del fiammingo Claus Sluter (1360 ca – 1406), che nel 1395 realizza un monumentale crocifisso per Filippo II l’Ardito. Dell’opera oggi resta soltanto una parte del basamento, conosciuta come Pozzo di Mosé.
Le facce di questa struttura esagonale, separate da colonnine sormontate da angeli, sono rivestite dalle potenti immagini del re David e di cinque profeti.
Il saldo modellato, poco incline allo slancio sinuoso tipicamente gotico, conferisce un’aura monumentale alla composizione, i cui personaggi, distinti da una marcata espressività e dal gonfiore delle vesti, vivono di vita propria, come se fossero in procinto di staccarsi dalla struttura.
Passando all’architettura, la tendenza europea a cavallo tra il XIV e il XV secolo è caratterizzata da un’accentuata propensione decorativa: volte a crociera, costoloni e archi rampanti subordinano la loro chiarezza strutturale alle nuove esigenze ornamentali, configurandosi in forme sempre più slanciate. Le ardite altezze di cattedrali ed edifici civili sembrano voler sfidare le leggi di gravità, mentre gli intricati intrecci di appuntite cornici cuspidate vengono equiparate a guizzanti lingue di fuoco, tanto da far parlare -come si è detto- di Gotico fiammeggiante.
Tra le opere architettoniche più rappresentative, la Cattedrale di San Vito attesta lo splendore artistico vissuto in questo periodo dalla città di Praga, eletta a capitale del Sacro Romano Impero Germanico.
La struttura, caratterizzata da un’impostazione dinamica e complessa, presenta pianta trapezoidale ed è arricchita da articolate sequenze di volte.
Spostandoci in Francia, dove si riscontra una convinta adesione ai modi del Gotico fiammeggiante, è celebre l’esempio della Cattedrale di Rouen, in Normandia.
L’edificio, innalzato già nel XIII secolo, viene portato a termine agli inizi del XVI secolo ed è tra gli ultimi decenni del Trecento e i primi del Quattrocento che la sua esuberante facciata si dota di una molteplicità di appariscenti motivi flamboyant.
Le forme appuntite si sovrappongono in un groviglio di artificiosi decori che donano all’edificio un’aura di diafana leggerezza.
Il Gotico internazionale in Lombardia
Le tendenze artistiche del Gotico internazionale si diffondono nelle regioni italiane con modalità e tempi diversi. Gli ambienti più ricettivi e con maggiori sviluppi coincidono con le grandi corti signorili delle regioni settentrionali, ben inclini all’opulenza fastosa promossa da questo linguaggio.
Tra i principali centri di propulsione, un ruolo primario spetta a Milano, dove la signoria dei Visconti assume una funzione decisiva nel sostenere le imprese artistiche, rivelando una spiccata apertura alla cultura francese.
Nella città lombarda convergono numerosi artisti, intenti a promuovere il linguaggio tardogotico nella monumentale fabbrica del Duomo(*) o nei sontuosi castelli ducali. Pertanto, nei decenni a cavallo tra Trecento e Quattrocento, Milano conosce una gran fioritura artistica, che non tarda a diffondersi anche in altre corti dell’area settentrionale.
Inoltre, in questa fase, la miniatura lombarda, ben conosciuta e apprezzata anche fuori d’Italia, vive uno sviluppo prestigioso, favorito da una ricca e variegata produzione di codici illustrati, comprendente romanzi cavallereschi, libri di preghiere, opere classiche o storiche, Libri d’Ore, e ancora Tacuina Sanitatis, ossia brevi trattati di scienza medica, botanica e zoologia.
I testi sono ornati da raffinate immagini che riproducono i fasti della società signorile del tempo. Linee sinuose danno vita a eleganti raffigurazioni di cortigiani inseriti in sontuose ambientazioni aristocratiche, dove la profusione di decori e preziosismi cromatici concorre alla resa di una maliosa aura fiabesca, mentre al contempo l’attenzione ai più minuti particolari naturalistici rivela l’affermazione di un singolare gusto descrittivo.
Tra i miniatori lombardi, si distingue Giovannino de’ Grassi (1355/1360 ca.-1398), attivo anche come scultore e architetto nel cantiere del Duomo milanese. Le sue illustrazioni, tra cui segnalo quelle contenute in un noto taccuino conservato presso la Biblioteca Angelo Mai di Bergamo, sono caratterizzate da un pungente realismo e da un’eccezionale resa grafica.
Nella cerchia di Giovannino de’ Grassi si forma con ogni probabilità Michelino da Besozzo (1365/1370 ca.-1450 ca.), impegnato anche nella realizzazione di affreschi e dipinti su legno. Celebre la tavola dello Sposalizio mistico di Santa Caterina, pervasa da un singolare gusto calligrafico e da una sapiente profusione di ori.
Inoltre, dal 1448 al 1462 si hanno notizie di Belbello da Pavia, uno degli ultimi protagonisti della miniatura tardogotica lombarda, distintosi per una produzione dotata di una notevole ricchezza decorativa.
La pittura italiana in età tardogotica
In Italia, i principali centri di elaborazione della pittura tardogotica restano quelli già fiorenti nel corso del Trecento, localizzati perlopiù tra l’area veneta e quella emiliana.
Tra i protagonisti di questa feconda stagione emergono senz’altro i nomi di Gentile da Fabriano e di Pisanello, entrambi ricettivi agli stimoli della cultura figurativa d’Oltralpe e attivi nelle principali corti signorili del tempo.
Gentile da Fabriano (1360/70 ca.- 1427/28)
Originario di una località marchigiana rinomata per la produzione della carta, Gentile da Fabriano mostra sin dagli esordi una cultura ricca e attenta agli stimoli settentrionali. Pertanto, risulta verosimile che la sua prima formazione sia avvenuta in area lombarda, come attestano anche i dettagliati motivi naturalistici e le variegate trame ornamentali che caratterizzano le sue opere.
L’artista si distingue per il morbido ritmo lineare dei contorni e per il preziosismo decorativo di abiti e ambientazioni, come si evince già in un dipinto giovanile quale il noto Polittico di Valle Romita, realizzato tra il 1405 e il 1412.
La prima produzione di Gentile, in gran parte perduta, si riferisce quasi interamente alle regioni dell’Italia settentrionale, mentre per la produzione posteriore al 1422, anno del suo trasferimento a Firenze, risultano più opere superstiti.
Risale al 1423 la celebre pala con l’Adorazione dei Magi, dipinta per la Cappella di Palla Strozzi, nella Basilica di Santa Trìnita.
Palla Strozzi, ricco mercante fiorentino, commissiona l’opera a Gentile con l’intento di celebrare il proprio prestigio sociale: la scelta di affidare l’incarico a un artista protagonista del gusto cortese, così in voga in quel tempo, rientra nella volontà di mostrare tutto il lustro e l’opulenza del suo casato anche attraverso i fasti artistici.
Così l’evento religioso diventa un pretesto per narrare lo sfarzo di una parata mondana, eco delle corti signorili del tempo.
I sontuosi decori e i preziosismi cromatici di stoffe, aureole e dettagli naturalistici caratterizzano l’affollata scena di questa originale interpretazione dell’Epifania. Gli esili personaggi, descritti con studiati gesti e fisionomie, si riversano nel primo piano della composizione, di contro all’esiguo sviluppo del fondo. Al contempo, tuttavia, sotto le vesti, gli accenni alla volumetria dei corpi rivelano l’attenzione di Gentile ai modi costruttivi della coeva pittura toscana.
La ricchezza ornamentale della tavola si riflette in quella della sua elegante cornice gotica, intagliata, dorata e dipinta. Coronata da tre elaborate cuspidi, è affiancata da eleganti pilastrini, caratterizzati da finti trafori in cui s’intravedono fiori ed erbe resi con gran finezza esecutiva.
Nonostante la tripartizione della cornice, il dipinto presenta un’unica scena, mentre la predella è distinta in tre riquadri raffiguranti la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al tempio.
Pisanello (1395 ca.-1455)
Probabilmente originario di Pisa, ma trasferitosi sin da bambino a Verona, Antonio Pisano, noto come Pisanello, è l’altro grande protagonista della stagione tardogotica italiana. La sua formazione è riferibile all’area veneta e a Gentile da Fabriano, come attestano ipotesi piuttosto fondate su più di una collaborazione tra i due pittori.
Pisanello si distingue per la sua spiccata abilità nel disegno e a testimonianza della sua ricca produzione grafica resta un gran numero di studi preparatori, ma anche di esercitazioni svincolate dalla realizzazione delle opere pittoriche.
Tra il 1436 e il 1439, l’artista realizza un ciclo di affreschi nella chiesa di Sant’Anastasia, a Verona, di cui oggi risulta pervenuta soltanto la scena con San Giorgio e la principessa.
La nota leggenda del santo cavaliere che libera la principessa di Silena, in Libia, dalla minaccia di un drago viene qui raffigurata nel momento in cui San Giorgio è in procinto di partire per affrontare la temibile prova. L’artista dota l’immagine di una straordinaria ricchezza di particolari e, al contempo, esprime una gran vena narrativa e una partecipata resa del dramma.
Risale invece al 1441 la tavola con il ritratto del marchese Lionello d’Este, effigiato di profilo in una posa aristocratica, arricchita da una sensibile definizione dei dettagli.
Pisanello ritrae il profilo di Lionello anche in una serie di medaglie, tanto in voga nella società signorile del tempo.
Le medaglie rappresentano oggetti di lusso da collezionare, ma oltre a simboleggiare le vocazioni dei più raffinati ambienti cortesi, sono rivelatrici della nascente cultura classicheggiante del XV secolo, come mostra il chiaro riferimento alle monete romane, dove nel lato anteriore (recto) appare il profilo del personaggio e in quello posteriore (verso) si dà spazio a una composizione allegorica.
I tempi sono ormai maturi per nuove elaborazioni artistiche fondate su differenti esigenze rappresentative. La cultura tardomedievale, nutrita dai lussuosi ideali cortigiani, volge ormai al suo definitivo tramonto.
Mariaelena Castellano
DENTRO L'OPERA
Les très riches heures du duc de Berry
(Paul, Herman e Jean de Limbourg, 1412-16 ca., miniatura su pergamena, Chantilly, Musée Condé).
Les très riches heures du duc de Berry viene realizzato tra il 1412 e il 1416 dai tre fratelli fiamminghi de Limbourg, per il colto mecenate Jean, duca di Berry e fratello del sovrano Carlo V di Francia.
Il “libro d’ore” è un codice miniato per laici, contenente preghiere, salmi, brani evangelici e liturgie. I testi sono illustrati con episodi della vita della Vergine e del Cristo, ma anche con un calendario arricchito da scene di vita quotidiana.
Il manoscritto, rimasto incompiuto alla morte dei tre artisti e del committente (scomparsi nel 1416 durante un’epidemia di peste), viene terminato anni dopo.
Il linguaggio artistico di Paul, Herman e Jean de Limbourg è imbevuto di un elegante linearismo decorativo: i contorni netti definiscono esili figure slanciate, descritte con abiti fiabeschi e ricchezza di particolari. Ne deriva un’atmosfera quasi irreale, al tempo stesso aperta a influssi anche italiani, come si evince dalle frequenti citazioni prospettiche delle architetture. All’accurata resa dell’ambiente corrisponde, inoltre, una variegata e accesa gamma cromatica, che dona ulteriore enfasi espressiva alle scene.
Il Duomo di Milano
Nel 1386 si inaugura la fabbrica del Duomo di Milano, posta sotto la giurisdizione del duca Gian Galeazzo Visconti. L’intento di rivaleggiare con le grandi corti europee e la volontà di distinguersi dalla più sobria produzione gotica italiana spiega l’impavida complessità architettonica dell’opera, sensibilmente aperta al gusto francese, come attesta la partecipazione nel cantiere di capomastri transalpini.
L’edificazione del Duomo si protrae per diversi secoli assumendo un gusto piuttosto eclettico.
Ai primi decenni del Quattrocento risalgono il corto transetto a tre navate e l’abside poligonale, dotata di grandi finestre ogivali ornate da vetrate policrome.
L’interno è distinto in cinque ampie navate disegnate da file di poderosi pilastri polistili mentre l’esterno, in pregiato marmo di Candoglia dalla colorazione leggermente rosata, presenta un’elaborata trama di archi rampanti, guglie e contrafforti.
Risale alla fine del XVI secolo l’innalzamento di un elevato tiburio ottagonale collocato all’intersezione tra navate e transetto e sormontato da una guglia alta ben 108 metri, ultimata nel XVIII secolo.
Nonostante lo spiccato orientamento goticheggiante, a ben vedere anche in quest’opera permangono quelle scelte fondate sul senso di misura e di ordine, tipico della più tradizionale visione italiana. Ciò si evince dalla lenta e graduale elevazione delle navate e dal marcato sviluppo orizzontale della facciata, che stempera la spinta verticale della struttura.
In ogni caso, il cantiere si pone come significativo punto d’incontro per i principali artisti del tempo, attestando il fecondo clima internazionale della città lombarda in questa fase conclusiva del Gotico europeo.
IMPARIAMO I TERMINI
Per il significato dei termini architettonici si rimanda alla lezione sull’architettura gotica.
Tiburio: Struttura esterna posta a rivestimento della superficie curva della cupola; dapprima concepito a pianta poligonale, in seguito assume anche pianta circolare.
PER SAPERNE DI PIÙ …
Arti minori e arti maggiori
Con l’espressione “arti minori” si indicano quelle discipline artistiche finalizzate alla realizzazione artigianale di oggetti utili, quali opere di oreficeria, glittica, miniatura, intarsio, ceramica, ebanisteria e tessitura. Di contro, per “arti maggiori” s’intendono quelle votate alla mera contemplazione estetica, come la pittura e le arti figurative in genere.
Tale distinzione sorge nel periodo rinascimentale, quando si proclama il primato intellettualistico e la dignità spirituale delle opere pittoriche e scultoree, ritenute superiori alle produzioni artigianali. Emerge, dunque, una classificazione gerarchica che contrappone artisti ad artigiani, relegando questi ultimi a esecutori materiali di oggetti destinati a un’utilizzazione pratica.
Oggi, nonostante l’espressione “arti minori” resti in uso, si è andata diradando l’originaria vena discriminatoria, già in parte sopita con il pensiero illuminista del XVIII secolo, favorevole a un concetto di uguaglianza esteso anche alle arti applicate. Diversamente, le teorie romantiche ripristinano il culto dell’artista creatore di bellezze ed emozioni, ancora una volta a discapito degli artigiani. Dal XX secolo s’impongono, invece, l’industrial design e la produzione seriale degli oggetti che, se da un lato portano alla ribalta l’interesse per i più svariati settori artistici, dall’altro effettuano un’ennesima discriminazione ai danni della più genuina qualità artigianale, da sempre impegnata in una continua ricerca di riconoscimento.
(Bibliografia di riferimento: Elena Agudio, Una questione di dignità, da ARTEDOSSIER n°290, luglio/agosto 2012, a cura di Philippe Daverio – Giunti Editore Firenze-Milano.)