Gli albori della scultura romana sono caratterizzati da una marcata dipendenza dal linguaggio ellenico, mediato attraverso gli influssi etruschi. Partendo da questi contatti, a partire dal II secolo a.C., si va man mano delineando una produzione scultorea locale, segnata da una predilezione per il genere del ritratto, più idoneo a soddisfare l’esigenza d’individualità, tipica della mentalità di questo popolo e particolarmente diffuso nella tipologia scultorea del busto ritratto(*).
Se i Greci congelano i volti in una resa perfetta ma impersonale, i Romani puntano al carattere espressivo e realistico, proteso a inquadrare l’esatta fisionomia della persona.
Resta comunque costante il riferimento al classicismo, tant’è che nel II secolo a.C. si affermano due filoni della ritrattistica romana: uno, di derivazione ellenica, più compromesso all’idealizzazione; l’altro, di tradizione italica, maggiormente realistico. In entrambi i casi si riscontra l’immediata riconoscibilità dell’effigiato, ma mentre nel primo si privilegia una raffigurazione serena e gloriosa, nella tipologia italica si punta a una più severa resa delle qualità morali, talvolta anche attraverso una marcata espressività.
Un esempio di orientamento greco si ha con il ritratto di Gneo Pompeo Magno, realizzato nel I sec. a.C., mentre con il ritratto di ignoto di Osimo, sempre del I secolo a.C., si può cogliere un’esasperazione quasi grottesca, tipica della più genuina verve realistica romana.
Con l’età imperiale si riscontra, invece, una sorta di mediazione tra queste due componenti: ne deriva la creazione di una sintesi tra idealizzazione ellenica e realismo italico.
In questa fase, inoltre, viene meno la ritrattistica privata, in genere aristocratica, e si promuove piuttosto la raffigurazione dell’imperatore, il cui culto crescente trae vigore anche dalla diffusione della sua immagine scolpita.
Del resto, la scelta di aprirsi a un compromesso con la scultura greca si spiega proprio attraverso l’esigenza di mostrare un’immagine divinizzata delle qualità e della moralità dell’imperatore, come si evince dalla statua a figura intera dell’Augusto di Prima Porta.
A questa visione risponde anche il particolare genere della statua equestre, finalizzata a celebrare le virtù eroiche dei condottieri effigiati.
L’unico esemplare pervenutoci risale alla fine del II secolo d.C. e ritrae l’imperatore Marco Aurelio raffigurato in tutta la sua autorevole e composta dignità. L’opera, attualmente esposta nei Musei Capitolini, in origine era collocata in piazza del Campidoglio, dove oggi figura una copia.
Per completare la visione della panoramica scultorea in età romana, dopo aver trattato della statuaria, nella prossima lezione parleremo del rilievo storico-celebrativo, una tipologia artistica diffusa soprattutto nella fase imperiale.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ…
(*) IL BUSTO RITRATTO
Il busto ritratto, diffuso sin dall’età repubblicana, propone una viva somiglianza dell’effigiato, con una resa fisionomica fedele e poche concessioni all’idealizzazione.
L’usanza di rappresentare soltanto il volto e il collo deriva dall’antica tradizione romana di trarre dal volto del defunto un calco realizzato con la cera. Tale usanza, tramandata anche dallo storico greco Polibio, è riservata alla gens patrizia, nelle cui dimore, in armadi particolari, vengono custodite ed esposte le maschere di cera dei propri illustri avi. Durante i funerali, queste immagini sono indossate in processione, in modo da sancire il prestigio del proprio casato, con chiari intenti celebrativi non privi di connotazioni politiche.
La Statua Barberini, così chiamata in quanto proveniente dalla collezione di Palazzo Barberini a Roma, offre una significativa testimonianza di questa sentita tradizione. L’opera, risalente alla fine del I secolo a.C., raffigura un patrizio che regge due maschere di cera dei propri antenati. L’uomo, avvolto in una toga dal ricco panneggio, sembra essersi messo in posa per presentare con solennità i due volti effigiati dall’accurata e austera resa fisionomica.
Tre generazioni di una stessa famiglia sono riunite in un’unica opera dal gran valore documentaristico. La tipologia scultorea del busto ritratto recupera l’esigenza di individualità e di celebrazione delle maschere di cera, adoperando materiali più nobili e durevoli, quali il marmo e il bronzo.
VISITIAMO!
LA STATUA DI DEMETRA
Parlare di statuaria romana non significa soltanto chiamare in causa ritratti di patrizi o sculture celebrative raffiguranti l’imperatore. Come nell’antica civiltà greca, anche i Romani onoravano i loro dei attraverso l’arte, con dipinti e rilievi articolati, con templi sontuosi e con sculture solenni, a volte di dimensioni monumentali.
Per restare nel nostro territorio, cito l’esempio della colossale statua in marmo bianco identificata come Cerere (la Demetra greca), emersa dai resti di una delle ville marittime che costeggiavano i litorali sorrentini.
L’opera, risalente al I secolo d.C., è esposta nel Museo “G. Vallet” di Piano di Sorrento, dove accoglie i visitatori nell’androne d’ingresso, al piano terra.
La dea, avvolta nel suo peplo fittamente drappeggiato, appare in tutta la sua ieratica maestosità e, pur nella sua compassata immobilità, suggerisce l’idea di un potenziale movimento: il viso, dall’espressione grave e solenne, appare propenso a voltarsi, mentre le flessuose membra, ben leggibili grazie alla fine lavorazione della veste sovrastante, sembrano inclini ad avanzare un passo.
La delicatezza del modellato e i sinuosi effetti del morbido panneggio suggeriscono l’inserimento dell’opera nella corrente artistica definita “scuola post-fidiaca“, in riferimento al celebre scultore greco.